La locandina del film.

L'amore al ritmo del jazz

New York, inizio Novecento. Sono gli anni dell'"età del jazz". Gatsby è disposto a tutto pur di riconquistare la donna perduta. In una storia fatta di lusso e di vizi è l'unico personaggio che rimane fedele al suo desiderio di felicità...
Maurizio Crippa

Che cosa manca al Grande Gatsby? Al misterioso, fascinoso e ricchissimo Jay Gatsby? Cosa vuole avere, cercando di afferrare ogni notte quella luce verde lontana, sull'altra sponda della baia? Gli manca l'Amore, con la maiuscola. Gli manca la bellissima, ma frivola, Daisy, la ragazza che ha amato in passato, ma che ha sposato un altro uomo, grezzo e ricchissimo. Per riaverla è diventato lui stesso ricco, coi soldi facili dei gangster. Ha comprato una villa grandiosa, dirimpetto a quella della sua amata. Per cercare di incontrarla organizza feste senza limiti in cui tutta la New York dei “ruggenti Anni Venti” si ubriaca di allegria. Tranne lui. Perché lui ha un solo sogno, un solo bene. E in questo mondo di luccicanti rottami morali che è l'America (almeno nel romanzo di Francis Scott Fitzgerald, nel film si nota meno), Jay Gatsby è l'unico a credere davvero nella speranza di una felicità. Per questo, romantico, megalomane e sconfitto, lui è comunque il “Grande” Gatsby.

Che cosa manca a Il Grande Gatsby, il film? Il senso autentico della tragedia, del dramma inevitabile che interroga ogni destino umano. Di certo, rispetto al libro di Scott Fitzgerald, manca il senso della storia, il ritratto della mitica "età del jazz", dei suoi splendori e del suo cinismo, dei suoi soldi facili fatti a Wall Street o con il proibizionismo, destinati di lì a poco a bruciare nella più grande crisi che l'America abbia mai vissuto.

Ma non è questo che interessa a Baz Luhrmann, il rutilante regista di film baciati dal successo come Romeo+Giulietta e Moulin Rouge. Nelle mani di Luhrmann il romanzo simbolo di un pezzo di storia americana è diventato una fiaba, a tutti gli effetti. Il nobile eroe che insegue la principessa perduta, il nemico brutale e indegno, i due castelli sulle sponde opposte del mare, la terra infernale e indistinta che separa questo mondo incantato da New York, le notti stellate e la magica luce verde irraggiungibile come un richiamo, laggiù. Anche visivamente, questo Grande Gatsby assomiglia più a una fiaba postmoderna dell'età dei videoclip, che a un viaggio letterario nel passato. Le scene delle feste, le musiche, i colori, gli effetti speciali e i colpi d'occhio da videogame evocano la graphic music o il gusto barocco delle fotografie di un David LaChapelle, tra moda e pubblicità, più che la dorata eleganza dei Roaring Twenties e delle pagine del libro.

Ma in fondo il gioco, preso così, a suo modo è divertente e funziona ugualmente. Trasformata in una fiaba senza tempo, la storia del misterioso Gatsby e della sua solitaria speranza, del suo bisogno di felicità che nulla può saziare se non la presenza della donna amata, colgono il cuore del romanzo, che si chiude con una celebre frase, la stessa che chiude anche il film, che evoca non già la Storia, ma l'infinita nostalgia che è contenuta in ogni autentico agire umano: «Così continuiamo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato».

Il grande Gatsby (The Great Gatsby, 2013)
di Baz Luhrmann, con Leonardo DiCaprio, Carey Mulligan, Tobey Maguire
Dal romanzo omonimo (1925) di Francis Scott Fitzgerald