Ai Weiwei e l'installazione <em>Sunflowers Seeds</em>

Un seme di girasole contro le bare del partito

Da un mese e mezzo l'artista cinese più famoso al mondo è in carcere. Di lui non si sa più nulla. Ma cosa dava fastidio al regime? Ecco la sua vita e le sue opere
Luca Fiore

«Perché non mi hanno ancora arrestato? È una domanda che mi fanno in molti. Non lo so davvero. Ma non voglio fermarmi. Forse sarò fermato da un altro tipo di forza. Ma la vita è fatta così, occorre sfruttare le occasioni». Così rispondeva l’artista cinese Ai Weiwei durante un incontro pubblico a Londra lo scorso ottobre. Aveva raggiunto il massimo del successo e della notorietà a livello internazionale inaugurando la sua istallazione Sunflowers Seeds nella Turbine Hall della Tate Modern. Non sapeva che pochi mesi dopo, il 3 aprile 2011, sarebbe stato fermato all’aeroporto di Pechino e arrestato dalla polizia cinese con la vaga accusa di crimini economici. Da allora di lui non si hanno notizie. Qualcuno dice che avrebbe confessato sotto tortura, ma informazioni ufficiali non ce ne sono. Perché non l’avevano ancora arrestato? È semplice: perché era l’artista cinese più famoso nel mondo, toccare lui avrebbe procurato a Pechino troppe inutili critiche. È vero, aveva firmato Charta08, il documento pro democrazia promosso da Lui Xiaobo, premio Nobel per la Pace 2010, anche lui sparito nella carceri cinesi, ma arrestarlo significava dare troppo nell’occhio. Perché l’hanno arrestato proprio ora? Perché la pazienza del Partito è finita? La verità è che molti in Cina si erano accorti di quello che stava capitando in Tunisia e in Egitto e per diverse settimane furono diversi i tentativi di far partire una nuova “rivoluzione dei gelsomini”. Pechino ha percepito che la minaccia aveva superato la soglia di guardia e ha prontamente sedato le proteste ancora prima che la gente scendesse in piazza. Se ne era accorto Ai Weiwei che su Twitter, pochi giorni prima del suo arresto, scriveva : «All’inizio non avevo fatto attenzione ai “gelsomini”, ma la gente che è spaventata dai gelsomini fa uscire notizie che dicono che spesso i gelsomini sono nocivi, il che mi fa pensare che i gelsomini sono la cosa che in questo momento li spaventa di più».
Ai Weiwei è un cinese di 54 anni, sovrappeso e dalla faccia simpatica. Sorride volentieri, ma quando è serio il suo sguardo sa essere intenso, eccome. È un figlio d’arte, come artista e come dissidente. Suo padre Ai Qing fu arrestato nel 1958, quado Weiwei aveva appena un anno, e spedito in un campo di lavoro nello Xinjiang, la salvaggia provincia dell’Ovest della Cina. La famiglia può tornare a Pechino solo nel 1975 e Weiwei si iscrive qualche anno più tardi all’accademia di cinema di Pechino. Nel 1981 si trasferisce negli Stati Uniti dove diventa un artista concettuale. Torna in Cina nel 1993 per assistere alla malattia e alla morte di suo padre. Negli anni successivi partecipa all’esperienza del Beijing East Village, dove un gruppo di artisti d’avanguardia prova a riproporre l’effervescenza artistica neworkese degli anni 60 e 70. Già nel 1999 partecipa alla Biennale di Venezia. Da artista concettuale lavora con le idee e i materiali e col passare del tempo la sua opera entra sempre più in polemica con il regime cinese. Nel 2005 presenta un’opera che è una tradizionale bara in legno, ma dalla forma irregolare. In cinese “bara” si dice “guancai”. Tuttavia “guan” significa anche “alto funzionario” e “cai” vuol dire anche “denaro” o “prosperità”. È un’opera sulla morte, ma anche sulla corruzione.
Il primo progetto che lo rende noto al grande pubblico è la collaborazione con gli architetti svizzeri Jacques Herzog e Pierre de Meuron per la costruzione dello stadio olimpico di Pechino, noto come Bird’s nest, il nido d’uccello. È un progetto ufficiale, pagato dal governo cinese, ma in quel momento Ai Weiwei nutre la speranza che i Giochi Olimpici del 2008 possano essere un’occasione affinché il Paese possa aprirsi al mondo e fare passi avanti nel campo della libertà e dei diritti umani. Ma ben presto è la disillusione che prende piede e l’artista cinese inizia a criticare le olimpiadi definendole una cinica operazione di propaganda di regime.
Nel primo anniversario del drammatico terremoto che nel 2008 aveva colpito la regione cinese dello Sichuan, Ai Weiwei pubblica sul suo blog la lista dei nomi degli studenti morti a causa dei difetti di costruzione degli stabili scolastici. Il blog viene chiuso dalla autorità, ma la lista viene appesa sui muri del suo studio di Pechino. Nell’agosto del 2009 viene picchiato dalla polizia perché manifestava a favore di Tan Zuoren, uno degli investigatori che si erano occupati del caso delle scuole dello Sichuan. Un mese dopo viene ricoverato a Berlino per una emorragia cerebrale che si pensava fosse legata al pestaggio.
La sua attività di dissidente, senza dubbio, aiuta la sua carriera in Occidente, ma nel momento della sua consacrazione a livello mondiale - l’invito ad occupare la monumentale Turbin Hall della Tate Modern dimostra tutta la sua forza creativa. Sunflower Seed è un’opera di grande profondità e fascino. L’opera consiste in 100 milioni di semi di girasole in porcellana realizzati a mano, uno per uno, da 1600 artigiani del villaggio rurale di Jingdezhen e che occupavano l’immensa distesa della sala delle turbine. I girasoli erano il simbolo della rivoluzione culturale di Mao Zedong, considerato il sole attorno a cui i cinesi si dovevano orientare. Una riflessione sulla condizione del popolo cinese, ma anche sull’individualità di ogni persona, visto che ciascuno dei semi esposti da Ai Weiwei, essendo realizzati a mano uno per uno, sono unici e irripetibili.
La mobilitazione a favore della liberazione di Ai Weiwei non ha precedenti nel mondo dell’arte contemporanea. I maggiori musei del mondo, a partire dalla Tate Modern che ha affisso sulle sue pareti esterne la scritta «Release Ai Weiwei» – liberate Ai Weiwei –, hanno promosso manifestazioni di solidarietà nei suoi confronti. Il grande artista anglo-indiano Anish Kapoor gli ha dedicato la sua gigantesca opera Leviathan appena inaugurata al Gran Palais di Parigi, la Biennale di Venezia gli dedicherà una stanza vuota. L’artista russo Oleg Kulik ha annunciato che per un evento collaterale della Biennale presenterà un’opera in cui Zhan Huan, altro artista cinese di fama mondiale, tiene al guinzaglio Ai Weiwei nell’intento di denunciare il fatto che il primo è l’artista sostenuto dall’establishment cinese a spese del secondo. Agli innumerevoli gesti di solidarietà (esiste un sito che monitora “il caso Ai Weiwei”) si aggiungono anche le polemiche verso chi sfrutta le vicende che lo riguardano. In questi giorni il blog Cathedral of shit – tra i più seguiti nel campo dell’arte contemporanea – ha accusato le gallerie che trattano le opere dell’artista di non aver rinunciato a partecipare alle fiere di Hong Kong e Pechino lucrando sulla sua figura senza partecipare alla denuncia contro le autorità di Pechino. Ma al di là delle polemiche resta un fatto: Ai Weiwei è in carcere e insieme a lui ci sono migliaia di dissidenti meno noti e ignorati dalle proteste occidentali. Gli arresti continuano. I semi di girasole sono piccoli e facili da schiacciare.