Il poeta francese Charles Péguy.

«Caro Charles, ti scrivo»

È firmata Henri de Lubac l'opera che mette in dialogo Paul Claudel e Charles Péguy, a partire dall'inedito carteggio scoperto ad Orléans. Nelle pagine, un'amicizia che va oltre alle differenze (di stile ma non solo) tra i due poeti teologi
Flora Crescini

Nel 1968 vengono scoperte negli archivi del Centro Péguy di Orléans cinque lettere di Paul Claudel a Charles Péguy. Jean Bastaire, morto lo scorso 24 agosto, allora segretario dell’Associazione Charles Péguy, chiede all’amico Henri de Lubac di scrivere un articolo sull’evento. Ben presto, però, l’articolo prende la forma di un’opera sui due grandi protagonisti della letteratura francese e moderna. Un problema di salute impedisce a padre de Lubac di portare a termine il progetto, cosicché la seconda parte viene redatta dallo stesso Jean Bastaire. Il libro, Claudel e Péguy, è oggi tradotto e pubblicato dalla casa editrice Marcianum Press.

Due poeti-teologi di statura eccezionale, che salgono verso la stessa cima da versanti diversi. Péguy pubblica nel 1916 Il mistero della carità di Giovanna d’Arco: il libro suscita molto scalpore, perché non si comprende come l’anarchico o socialista possa scrivere un’opera simile. «Le pagine sulla passione sono di una bellezza profonda e commovente e in ogni pagina si riscontrano particolari noti soltanto ad un cuore profondamente religioso», scrive Claudel in una delle lettere. Ma «perché quell’ingiustizia verso san Pietro? Come può un cuore come quello non avvertire che ciò che ci rende così caro il più umano fra tutti i santi è il rinnegamento più che la confessione e che forse il rinnegamento, triplice come la trinità, provoca una scelta indefettibile come la confessione»; è certamente vero che Pietro è il più umano tra tutti i santi, ma proprio in questa osservazione di Claudel si misura la distanza dei due poeti. «La vocazione di Péguy appartiene fondamentalmente all’ordine dell’intelligenza, mentre quella di Claudel risente fortemente dell’approccio poetico», scrive Bastaire. Più che il rinnegamento, verso il quale si prova vergogna, è lo sguardo di Cristo, mentre rinneghiamo, che ci permette di riprendere il cammino. Non si può pensare che il male arricchisca, che sia solo un momento del bene: solo un grande dolore e uno sguardo che perdona ci può sollevare dal male. Altrimenti si cade più in basso. Quando l’uomo vuol fare la bestia, fa la bestia e quando vuol fare l’angelo, fa la bestia lo stesso, dice Péguy, ricordando Pascal. Appartiene, dunque, a un certo estetismo poetico dire che il rinnegamento provoca una scelta indefettibile come la confessione.

«La consistenza di un essere umano non è come quella di una pietra. Bandire il dramma dall’essere umano può forse significare sottrarlo a un duplice male, il male di pensare aggravato dal male di credere, due mali temibili, addirittura inespugnabili», afferma Péguy, che sembra quasi inconciliante, ma che è tremendamente vero. Si comprende a questo punto la radicalità di Péguy: «Claudel manca di semplicità. Ricerca tutto ciò che è estremo, eccezionale… Ha sempre bisogno di oltrepassare i limiti. Intendiamoci bene, perché non voglio che si creino, non debbono esserci malintesi tra Claudel e me. Sia io che lui lavoriamo per il sacro. Ma io non sono l’uomo delle cime, sono l’uomo della pianura. Marcio con la plebe, seguo i percorsi di qualsiasi altro uomo, rimango a fianco di tutti gli altri uomini, di coloro che vivono, è il caso di dirlo, la grazia di Dio».


Henri de Lubac
Claudel e Péguy
Marcianum Press
pp. 232 - € 26