La mostra dedicata a Leonard Cohen (Foto New York Encounter)

New York Encounter. Una lente eccezionale

Sean, in una lettera, racconta il lavoro fatto con la moglie e alcuni amici per preparare una mostra su Leonard Cohen. Dalla morte del figlio, poco più di un anno fa, a ciò che è accaduto a Manhattan, a metà febbraio: «Sento una nuova vita fiorire in me»

La mostra su Leonard Cohen che abbiamo preparato per il New York Encounter ha dato molti frutti inaspettati. Alcuni giorni dopo l’Encounter, nel nostro gruppo si è svolta una conversazione che lo ha reso evidente. Ecco il resoconto del nostro dialogo.

Mia moglie e io, che abbiamo lavorato entrambi a questa mostra, avevamo fatto molta fatica a rimetterci in cammino e ritrovare una creatività dopo la morte di nostro figlio, e questo progetto ci ha rimesso in moto. Abbiamo recuperato le capacità di una volta ed è riemerso il nostro interesse per l’arte. In parte il merito è della dedizione al suo mestiere di Cohen stesso, che abbiamo conosciuto da vicino durante i la realizzazione della mostra. Ha trascorso tutta la sua vita lavorando assiduamente alla sua poesia, talvolta soffermandosi anche quarant’anni su un testo, o scrivendo ottanta varianti di versi prima di sceglierne quattro per Hallelujah. Cohen intuiva con chiarezza che l’atto della creazione artistica era qualcosa con uno scopo, e a volte ci ricordava che la creazione è sempre una forma di dialogo con Dio.

Come è accaduto a noi, anche un’altra appartenente al nostro gruppo ha raccontato di essere “grata di aver dato” una piccola parte del suo tempo e delle sue energie alla mostra. In un periodo difficile, ha scoperto che andare fino a New York - spendere i soldi, cantare tre canti al nostro evento serale - e poi tornare a casa, è stato nel suo piccolo un modo per esprimere il fine per cui è stata creata e a chi appartiene. Si è detta felice di aver scoperto di poter dare qualcosa. Questo sentimento ha accomunato tutti noi in modi diversi.

Quando abbiamo deciso di allestire la mostra, il nostro desiderio più grande era quello di dar vita a nuovi rapporti. Volevamo questo più che una mostra perfetta, e l’abbiamo ottenuto. Un membro del nostro gruppo si è commosso nel vedere quanti giovani, pur non avendo mai sentito parlare di Cohen, si siano comunque interessati; li ha visti cambiare durante il percorso guidato. Un altro ha ricordato di aver visto qualcuno tornare alla mostra per una seconda visita. Abbiamo anche avuto conversazioni interessanti con persone che hanno espresso la loro avversione per Cohen o il loro disinteresse nei suoi confronti. Cohen si è rivelato un valido punto di partenza per andare più a fondo, segno autentico che lui era un buon argomento su cui lavorare.

Durante la nostra conversazione siamo stati ancora una volta colpiti da alcune cose che ci hanno davvero impressionato di Cohen, e che sono emerse presentando la mostra al pubblico. Per esempio, il modo in cui Cohen non riduceva mai l’entità e la crudeltà della sofferenza, né il mistero inesauribile della bellezza. Ci siamo accorti che alcuni particolari dell’opera di Cohen sono sorprendentemente rilevanti per la nostra vita, i nostri problemi e i nostri interessi.

È diventato sempre più chiaro come la forza dell’Encounter non stia nella sua perfezione, ma nella lente eccezionale che offre per guardare alla cultura. Io sto facendo carriera nel mondo accademico, e mentre realizzavo la mostra ero ben consapevole che non mi avrebbe fruttato alcun progresso nella mia carriera accademica, né sarebbe stato un lavoro perfetto. Ma ho trovato davvero interessante affrontare problematiche culturali nello spazio creato dall’Encounter, in uno spazio pienamente umano, con una proposta totale per l’uomo che, per una volta, non è parziale. Molti dei più grandi spazi culturali del nostro mondo non portano con sé alcun tipo di proposta corrispondente all’umanità di ciascuno. Sono pervasi dalle dinamiche di potere che si trovano in qualsiasi altro angolo della società orientata al massimo rendimento. L’Encounter è diverso, e questa è la sua principale forza.

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Dopo la conversazione con il gruppo degli organizzatori, sono andato a letto felice e pieno di energia, non perché avessi raggiunto ciò che mi ero prefissato o avessi fatto il mio lavoro migliore, ma perché sentivo una nuova vita fiorire in me; uno sguardo nuovo e luminoso sulla mia realtà spalancata e viva, che è il segno di un incontro con Dio.
Sean, Montreal (Canada)