Sfera Ebbasta durante un concerto (©Francesco Cigliano/Pacific Press via ZUMA Press Wire/Ansa)

La sfida di una canzone

Un dialogo sui testi di alcuni trapper tra un prof e i suoi alunni. Alla scoperta della nostalgia e del desiderio nel cuore di ciascuno

Tre settimane fa, entro in una terza superiore: ragazzi sempre un po’ agitati, ma con cui c’è un buon rapporto. Iniziamo a dialogare e poi uno di loro mi dice: «Prof, volevamo farle ascoltare una canzone». Raccolgo la proposta e rispondo: «Prego, la cattedra è tua». Il titolo è già una provocazione: Anticristo ed è di un rapper emergente Kid Yugi. Inizio ad ascoltarla con qualche perplessità seguendo il testo e inevitabilmente alla fine la domanda: «Prof, cosa ne dice?», vorrei dire quello che penso in modo diretto come spesso sono abituato a fare, ma rilancio: «Non ho capito bene il testo e ci voglio ragionare, ma se vi interessa dialogare su questo, dalla prossima settimana ognuno mi porti una canzone e spieghi perché l’ha scelta». Sfida accettata con entusiasmo.

La settimana dopo, in classe comincio da dove eravamo rimasti: «Ragazzi, ho riguardato il testo e a dir la verità non mi piace, ma sono abbastanza d’accordo con quello che la canzone rappresenta, perché dice un po’ tutto e il contrario di tutto e che la vita è un susseguirsi di eventi senza un punto fisso di riferimento e senza un bene, se provo ad immaginare l’anticristo deve essere proprio così». Silenzio. Adesso tocca a loro: mi presentano alcune canzoni, una è 15 piani di Sfera Ebbasta di cui mi colpiscono alcune frasi: «Non ho vinto al Lotto, però dopo anni che lotto/Tutto il lotto adesso è roba mia/Pure se li ho messi a posto/Voglio chi mi è stato attorno al posto della nostalgia». Poi Amore di mamma di Simba La Rue: «Senza money, money sono stato male/Ho-Ho la testa piena di problemi/Ai problemi, kho, ci penso domani/Ci penso domani, ci penso dopo/Magari non ci penso proprio».

Mentre ascolto queste canzoni, riguardo i testi e capisco che c’è qualcosa che dicono dei ragazzi che ho davanti, e mi viene subito in mente il quinto capitolo la Scuola di comunità quando don Giussani dice: «Se solo rispondendo a mille domande fosse esaurito il senso della realtà, e l’uomo trovasse la risposta a novecentonovantanove di esse, sarebbe irrequieto e insoddisfatto come fosse da capo». Con tutti i riferimenti a Leopardi.

Di nuovo il silenzio, questa volta di attesa. «Ragazzi c’è un filo rosso che lega quasi tutte le canzoni che mi avete fatto ascoltare, si capisce che i cantanti anche se hanno sfondato, per soldi e fama, non sono felici, anzi c’è una nostalgia e una tristezza che mi colpisce». Rimane il silenzio, finché dal fondo non si alza una mano, è di uno di quelli che aveva proposto una canzone. Mi dice: «Prof, è vero, la vita è triste, qualsiasi cosa si faccia», il silenzio continua, tutti i ragazzi capiscono la verità e la drammaticità di quello che ha detto il loro compagno. Che tentazione sarebbe quella di chiudere il problema con una bella frase ad effetto, ma non è possibile, bisogna innanzitutto stare davanti a quello che è emerso.

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La campanella dell’intervallo un po’ mi salva, ma ho il tempo per rilanciare: «Ci vediamo la prossima settimana per andare a fondo di questa cosa che è venuta fuori tra noi!». Anche in loro c’è il desiderio di continuare il lavoro insieme. Non vedo l’ora di tornare da quei ragazzi.
Domenico, Cesena