Wael Farouq (Foto Meeting Rimini)

La forza del suo pensiero nel mondo arabo-islamico

Wael Farouq, docente di Lingua araba all'Università Cattolica di Milano, racconta il suo incontro con la cultura cristiana e con don Giussani ("Libero", 14 ottobre)

Nel 1990 avevo sedici anni. Come la maggior parte dei miei coetanei egiziani, sono cresciuto con due culture, fra le due sponde del Mediterraneo: la cultura arabo-islamica e quella occidentale. Le studiavamo entrambe. All’epoca, la domanda che maturava dentro di me era: se gli europei non smettono mai di fuggire dal loro passato, mentre i musulmani non smettono mai di fuggire verso il loro passato, in quale presente, allora, potranno incontrarsi?

Io e la mia generazione abbiamo visto un mondo crollare. Con la caduta del muro di Berlino cadde il comunismo e capimmo quanto male ci fosse dietro. L’occupazione del Kuwait da parte dell’Iraq - un paese arabo invasore di un altro paese arabo! - fece cadere un’altra grande narrazione: il nazionalismo arabo. Poi, con le due successive guerre del Golfo, fu il turno del liberalismo, che cadde insieme alla luce della libertà, annegata nel nero petrolio. Nemmeno la religione fu risparmiata. Proprio negli anni Novanta iniziò l’ondata del terrorismo islamista, con tantissime persone innocenti uccise in attentati sanguinari. Il sufismo, scegliendo di ritirarsi dal mondo, smarrì la strada verso Dio, mentre i cristiani si trincerarono nelle loro chiese con alti muri e campane altisonanti.

In quegli anni, io iniziai a leggere l’opera di don Giussani. Per me fu una grande scoperta, perché, come moltissimi intellettuali arabi dell'epoca, vivevo diviso fra il cuore e la mente, fra tempi e luoghi differenti. Da un lato, infatti, c’erano i tradizionalisti che pensavano che l'unico modo per superare la crisi forse tornare all'età dell'oro della storia arabo-islamica. I tradizionalisti rifiutavano il loro tempo, il presente nel quale vivevano, ritenendo di appartenere al passato. Dall’altro, c’erano i modernisti e tutti coloro che credevano nella modernità laica occidentale. I modernisti rifiutavano il luogo in cui vivevano, il loro paese. I loro cuori erano altrove, in Occidente. La situazione non è molto cambiata: una parte degli arabi vive nel qui, ma non nell’ora. Un’altra parte, invece, vive nell’ora, ma non nel qui.

Con don Giussani, però, tutto questo non accadeva. Nel suo libro Il senso religioso, la persona era presentata come ciò che dà forma alla tradizione. Grazie a lui, compresi finalmente che io stesso ero la soluzione della crisi: la forma contemporanea, vivente, della mia tradizione e della mia religione. Quando i profeti di questa o quell’ideologia, negli anni Novanta, mi chiedevano di seguirli a occhi chiusi, sentendosi padroni della verità assoluta, don Giussani, al contrario, mi chiedeva di aprire gli occhi, perché per seguire la verità bisogna avere gli occhi ben aperti e lasciarsi guidare da una domanda viva, come una ferita che non si rimargina.

Da quel momento, non ho più dovuto scegliere se fuggire dal passato o verso il passato. Dovevo solo aprire i miei occhi sul “qui e ora”. Era il metodo del “vieni e vedi” di Gesù, che poi è lo stesso che si trova anche nella tradizione islamica, perché ogni invito alla fede islamica parte sempre da una chiamata a “vedere”. La testimonianza di fede, nell’islam, si chiama, appunto, shahàda, che deriva dal verbo shahida, cioè vedere. Chi abbraccia una fede, dunque, “ha visto”.
Ecco perché, dopo aver letto quel libro, decisi di pubblicarlo in arabo. Dopo lunghi mesi di lavoro e viaggi, il libro fu presentato alla Biblioteca di Alessandria. Fu uno degli eventi culturali più importanti della Biblioteca, secondo i responsabili. La cosa più rilevante della conferenza furono gli interventi del pubblico. Il commento più notevole venne da una signora musulmana che disse: “Dopo aver letto il libro e ascoltato i relatori, penso che dovremmo rivedere la maniera con la quale educhiamo i nostri figli”.

Ancora oggi, incontro continuamente don Giussani in tutte le persone che l'hanno conosciuto e amato. Con ogni incontro, ha preso forma in me una nuova grande narrazione: la speranza fondata sulla ragione, la realtà e l’esperienza autentica. Questa presenza nel mondo, nella realtà vissuta, è il segreto dell'influenza che Luigi Giussani ha avuto su chiunque l'abbia incontrato, indipendentemente da come sia avvenuto l'incontro. Anche nel mondo arabo.

Da Libero, 14 ottobre 2022