Il cardinale Scola con il Patriarca maronita Sfeir.

OASIS La partita del Medio Oriente si chiama educazione

Il 21 giugno in Libano si è tenuto il Comitato scientifico della Fondazione Oasis. Un dialogo tra 70 ospiti cristiani e musulmani da Asia, Africa, Europa e America. Alla ricerca di «un incontro di libertà» su cui fondare il futuro

Un’educazione autentica e integrale della persona come snodo cruciale per cristiani e musulmani, una via da percorrere per liberarsi sia dal “positivismo assoluto” sia dal “fondamentalismo formale”. È questo uno dei punti di arrivo del lavoro di Oasis, la Fondazione internazionale che ha riunito a Beirut il suo comitato scientifico sul tema “L’educazione fra fede e cultura. Esperienze cristiane e musulmane a confronto”.
Ha guidato i lavori, cui hanno partecipato circa 70 personalità cristiane e musulmane dall’Asia, dall’Africa del nord, dall’Europa e dall’America (tra le quali il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso), il cardinale Angelo Scola, Patriarca di Venezia e fondatore di Oasis.
Il tema dell’educazione è stato scelto come sbocco naturale del cammino precedente: “Interpretare le tradizioni all’epoca del meticciato”, Venezia 2009; “Libertà religiosa, una risorsa per ogni società”, Amman 2008; “Il meticciato di civiltà e culture”, Venezia 2007; “Diritti fondamentali e democrazie”, Il Cairo 2006; “Unità e diversità”, Venezia 2005.
Nel suo intervento introduttivo il cardinale Scola ha mostrato l’importanza di liberare l’educazione dal rischio della riduzione alla sola trasmissione di competenze tecniche, a una comunicazione di dati delle scienze esatte come l’unico orizzonte dell’umano. Per Scola l’educazione va valorizzata come «un incontro di libertà»: quella dell’educatore, che si autoespone e rischia, e quella dell’educando, che deve fare i conti, fare esperienza di quanto viene proposto alla sua libertà.
La scelta del Libano non è stata casuale: questo Paese del Medio Oriente ha sempre riconosciuto un’importanza straordinaria all’educazione, come documenta la scolarità al 93% per gli uomini e all’84% per le donne, e all’educazione alla convivenza tra cristiani e musulmani, con scuole cristiane frequentate in altissima percentuale da musulmani e viceversa.
La mattina di lunedì 21 è stata aperta dal saluto di introduzione del Patriarca maronita, cardinale Nasrallah Sfeir, e dall’intervento del ministro libanese dell’informazione, Tareq Mitri.
Mitri ha ricordato che da quest’anno il Libano ha deciso di fare del 25 marzo, festa cristiana dell’Annunciazione, una festa nazionale per rafforzare il dialogo fra cristiani e musulmani attorno alla devozione alla Vergine Maria. Il Libano per Mitri riconosce il dialogo come uno strumento necessario di «diplomazia preventiva» per garantire la pace, ma per durare nel tempo deve andare a fondo, ri-elaborare la propria esperienza.
Alcuni dei relatori libanesi, con diversi accenti, hanno sottolineato che perfino durante la guerra del Libano - che ha avuto fortissimi accenti confessionali - le università e le scuole, in varia misura, sono state il luogo in cui conoscere davvero l’altro e imparare a convivere. Alcuni, come il professor Antoine Messarra, ha attribuito questo ruolo alle scuole confessionali, che proponendosi con un’identità precisa, aiutavano l’altro a sconfiggere la paura del diverso; altri, come il professor Hisham Nashabe, della Makassed University, hanno valorizzato le scuole statali, che permettevano la compagnia alla pari di membri di diverse religioni, puntando su valori comuni.
Tutti i relatori musulmani, sunniti e sciiti, hanno condannato il fondamentalismo violento (anche quello cristiano), che semina contrapposizioni e mette a repentaglio la coesistenza libanese, ed hanno messo in evidenza come per loro la questione dell’educazione costituisca uno snodo cruciale per il futuro. I modelli passati stanno mostrando i loro limiti, c’è bisogno di trovare nuove modalità per trasmettere la tradizione per loro fondamentale alle nuove generazioni provocate dalle sfide articolate dell’epoca contemporanea.
Il professor Sheykh Ridwan Al-Sayed ha illustrato la formazione degli ulema tra continuità e riforma, non nascondendo un certo sguardo pessimista sulla situazione. L’insegnamento islamico - ha spiegato - avviene ormai fuori dai luoghi istituzionali come le moschee, in spazi nuovi come quelli gestiti da predicatori mediatici (via satellite). Prevale così tendenzialmente un islam chiuso, non necessariamente violento, ma ripiegato su di sé.
Il cardinale Tauran ha fatto notare che anche un certo fondamentalismo è segno di una rinascita delle esigenze religiose all’interno della società moderna e ha rivendicato - riferendosi soprattutto alle società occidentali secolarizzate - un posto per le religioni nel progettare la società. Ha espresso il desiderio che le religioni, proprio perché interessate all’uomo in tutte le sue dimensioni, lavorino insieme per il mondo, basandosi su valori comuni quali la solidarietà, la libertà, la spiritualità e la sete di conoscere. Non si può pensare per Tauran un’educazione autentica escludendo la domanda profonda di Dio del cuore degli uomini.
La giornata del 22 è stata dedicata al dibattito vivace tra i partecipanti e alla messa a fuoco dei temi che Oasis tratterà nel prossimo futuro attraverso tutti i suoi strumenti: la rivista semestrale, la newsletter mensile (entrambe plurilingui), la collana dei libri, il sito internet...
Il Patriarca nelle conclusioni ha sottolineato come, alla luce delle esperienze condivise nel dialogo franco tra chi fa parte della rete di Oasis (dall’Indonesia o dal Pakistan, come dalla Tunisia, Marocco, Arabia oltre che dai numerosi Paesi occidentali), il tema educazione sia emerso come un’esemplificazione significativa del lavoro specifico di Oasis, che promuove un lavoro a tutto campo sull’interpretazione culturale della fede.
La questione “educazione”, proprio perché si interessa di tutto l’uomo, arriva a intercettare le provocazioni radicali che investono gli uomini e le donne di oggi, tra cui una delle più brucianti e attuali: «È ancora ragionevole per un uomo di questo millennio credere in Dio?».
(da www.patriarcatovenezia.it)