La celebrazione nella Cattedrale di Tunisi

Lhernould: «Il fondamento dell'autentica liberazione»

L'omelia del Vescovo di Costantina (Algeria) per la messa in memoria di don Giussani, concelebrata a Tunisi con monsignor Ilario Antoniazzi, titolare della Diocesi tunisina. «Siamo al servizio della verità che è una persona»
Nicolas Lhernould

Cari amici, se vi capita di visitare il sito internet del movimento di CL fondato da don Giussani di cui festeggiamo oggi la dipartita per il cielo, troverete in prima pagina la seguente frase: «La fede vissuta nella comunione è il fondamento dell'autentica liberazione».

Nella prima lettura di oggi, attraverso la quale continuiamo a leggere la storia dei Re, vediamo uno straordinario contro-esempio di questa verità. In effetti, prima della fine della sua vita, il re Salomone si era pervertito e aveva accettato di introdurre gli idoli nel suo regno. Alla fine, uno dei suo figli, Geroboamo, un giorno incontra il profeta Achia, di cui abbiamo sentito parlare oggi, che prende un mantello nuovo e lo taglia in dodici parti e ne dona dieci a Geroboamo, dicendogli: «Non resterà a tuo padre che una sola tribù. Le altre dieci saranno per te e la dodicesima, quella di Levi (alla quale appartiene il profeta per la sua funzione) resterà all’ordine sacerdotale». Ed è quello che succederà. Geroboamo dividerà il regno di suo padre, fonderà il regno del nord che riunirà dieci delle dodici tribù degli anziani. Questo regno si chiamerà Regno di Israele. Suo fratello Roboamo resterà padrone della parte sud della Terra Santa, nel regno di Giuda, possedendo solamente una delle dodici tribù. Sarà una storia disastrosa: Geroboamo e Roboamo saranno due re esecrabili, a tal punto che ad un certo momento lo stesso profeta Achia dovrà tornare dal re per annunciargli che suo figlio sarebbe morto, mentre i due fratelli si combatteranno e continueranno a dividere il regno del loro padre. Attraverso questi avvenimenti terribili che governeranno tutta la storia dei nostri avi per secoli, noi vediamo un contro-esempio perfetto della bella frase, della apertura di orizzonte che ci è data sul sito di CL: «La fede vissuta nella comunione è il fondamento dell'autentica liberazione».



Attraverso la storia, sia quella del vecchio testamento sia quella nuova della nostra chiesa, cioè quella dopo la nascita di Gesù, di momenti di divisione ce ne sono stati. Nella nostra storia locale potremmo solo guardare la figura di San Cipriano. Quanti personaggi importanti hanno dovuto lottare per preservare l’unità della Chiesa! San Cipriano ha scritto un trattato famoso su questo argomento, ma non è il solo. Agostino, a suo tempo ha dovuto fare lo stesso e molti altri dopo di lui. Persino il cardinal Lavigerie, in altre circostanze, ha dovuto fare numerosi sforzi per poter mantenere questa gioia di vivere la fede nella comunione. Possono esistere forze di richiamo alla divisione che, come all’epoca di Geroboamo e Roboamo, vorrebbero trascinarci verso il contrario.

Mi sembra che qui, nella nostra piccola chiesa nordafricana, nella diversità di lingue, culture, spiritualità e carismi, noi siamo, forse più che altrove, chiamati a dare l’immagine di questa unità. E non a dare solamente l’immagine, ma a viverla, poiché attraverso questo nostro vissuto della fede nella comunione noi possiamo donare la testimonianza di essere suoi discepoli. San Cipriano, a suo tempo, ha trovato i mezzi per incoraggiare la comunità cristiana. Sant’Agostino, qualche secolo dopo, farà lo stesso. Mi sembra che all’interno di ogni nostro carisma comunitario dobbiamo essere protesi verso lo stesso orizzonte, al servizio dello stesso obiettivo.

Cosa significa vivere la fede nella comunione? Mi sembra che sia prima di tutto accettare la necessità dell’altro in noi stessi. In effetti nessuno può pretendere di testimoniare il Vangelo da solo: c’è bisogno per questo almeno di un altro. Perché il Vangelo è amore e l’amore non si vive da soli. Dio è uno in tre persone e nello stesso modo noi siamo una testimonianza attraverso una moltitudine di persone. La seconda necessità per vivere la fede nella comunione è di approfondirla nell’intelligenza dell’ambiente dove noi viviamo. Noi sappiamo bene che quella di CL è una tra tante altre proposte di educazione al senso religioso e alla fede cristiana. Non alla fede cristiana “per aria”, come se fossimo in qualsiasi altro posto nel mondo, ma all’interno dello stesso carisma, identico qualsiasi sia il continente, nell’intelligenza dell’ambiente qui, oggi, nella Tunisia di oggi, che non è più quella di San Cipriano e di Sant’Agostino. Nell’incontro con le persone di oggi, nell’irradiarsi di questo senso religioso che accogliamo e approfondiamo con la ragione e allo stesso tempo trasmettiamo con i mezzi adeguati, adattati, proporzionati alla realtà. L’educazione alla fede non è mai qualcosa che sia ripetibile senza nessun altro elemento da un luogo a un altro. Sicuramente la fede è la stessa ovunque, ma allo stesso tempo per comunicarsi, per trasmettersi ha bisogno di questa intelligenza del contesto, senza la quale le parole, anche quello che noi cerchiamo di vivere, non si comunica. Noi vediamo nel Vangelo di oggi nuovamente uno di questi contro-esempi: in effetti Gesù ha appena guarito un sordomuto, e in un bel modo, e dopo questa guarigione Gesù raccomanda alla gente di non dire niente a nessuno. Ma più lo vietava e più lo facevano. In un altro passaggio un evangelista ci dice che, dopo la guarigione di un lebbroso, anche costui non obbedisce a Gesù e va a dirlo a destra e a manca. Risultato: Gesù non poteva più entrare nei villaggi. Era questo che Gesù voleva?

C’è un’intelligenza della testimonianza che necessita di poter discernere i metodi in funzione del contesto, in funzione del momento, in funzione delle persone. Se no, anche se la verità resta la stessa da dire, la maniera in cui viene detta può far sì che non si trasmetta. Mi sembra che nell’educazione al senso religioso ci sia qualcosa che qui, nella nostra piccola chiesa dell’Africa del Nord, possiamo donare e trasmettere. È la necessità che proviamo tutti i giorni di questo “aggiustamento” al contesto. Non è del relativismo, lontano dall’esserlo! È semplicemente l’incarnazione, molto semplicemente. È dire che Dio è presente su questa terra prima ancora che noi vi abbiamo messo piede, che siamo a servizio della verità che è una persona, che non è prima di tutto una questione di dogma, anche se in seguito si declinerà sotto forma di dogma, ma che è prima di tutto una persona e che, di conseguenza, entra in relazione con questo contesto per poterlo amare, servire e illuminare.

LEGGI ANCHE - Omella: «Educate un cuore trafitto dalla ragione»

Dunque oggi vogliamo rendere grazie per il vostro carisma, vogliamo rendere grazie per quello che siete, per la vostra storia, per le vostre vite. Certo, rendere grazie per la vita del vostro fondatore che ci ha lasciato, ma anche per tutti i membri della fraternità a cui appartenete e a tutto il movimento. Quello che mi colpisce di più all’interno del vostro movimento, presente oggi in tutto il mondo, sono le connessioni che voi fate con gli altri carismi. Qui voi ne date testimonianza quotidianamente nella collaborazione e nel partenariato attraverso il lavoro e non solo, anche nelle relazioni personali. È esattamente quello che noi dobbiamo cercare: ciascuno di noi è se stesso nella grazia del proprio carisma, sia personale sia comunitario, quando accetta di ricevere gli altri e di vivere la fede nella comunione con i suoi fratelli diversi.
Allora rendiamo grazie al Signore, nel cuore della frase che mi ha colpito oggi sul sito di CL, e che è molto più ricco di questa frase: «La fede vissuta nella comunione è il fondamento dell'autentica liberazione».