La messa "de corpore insepulto" per Jesús Carrascosa (Foto Lupe de la Vallina)

«La vita nuova che nasce da Cristo»

L'omelia di Javier Prades alla messa "de corpore insepulto" per Jesús Carrascosa, l'11 gennaio scorso, e il messaggio del Nunzio Apostolico in Spagna, monsignor Bernardito Cleopas Auza
Javier Prades

Questa sera ci siamo riuniti per celebrare l’Eucaristia come ringraziamento e offerta per Jesús Carrascosa, Carras per la maggior parte di noi, Carrascón... Continuiamo ad accompagnare e a vegliare con affetto e fede le sue spoglie mortali fino a domani quando saranno deposte nella terra. Se vogliamo comprendere, fino in fondo, quello che abbiamo vissuto in tanti anni di amicizia con Carras, quello che stiamo vivendo, dobbiamo lasciarci illuminare dallo sguardo più vero che ci sia, quello che ci offre il Mistero stesso attraverso la sua Parola.

La prima evidenza ad imporsi è che la vita di Carras è stata vera, è vera e sarà vera per sempre: una vita inseparabile da quella di Jone, con la quale ha festeggiato poco tempo fa 50 anni di matrimonio.

È stata una vita molto feconda, che ha trasmesso il gusto della vita, il senso della vita, a decine e centinaia di persone. Per questo è giusto riconoscere quello che tanti di voi hanno detto in questi giorni: è stato un padre, con quella paternità che nasce dall’incontro cristiano e che a sua volta si nutre dell’essere stato figlio. Ecco perché, per comprendere la fecondità della vita di Carras, dobbiamo parlare allo stesso tempo della sua paternità e della sua figliolanza: è stato padre perché è stato figlio, e ha continuato a esserlo fino all’età di 84 anni.



La forma storica di questa fecondità è la vita nuova nata da Cristo attraverso il dono dello Spirito Santo, che lui ha ricevuto con l’accento unico del carisma di don Giussani. Questo incontro ha cambiato la vita di Carras che poi ha trasmesso questa fecondità nella vita stessa del movimento per tutta la Chiesa. Una fecondità ecclesiale che si riconosce immediatamente nella sovrabbondanza con cui ci ha trattato. È esattamente l’opposto dell’idea diffusa che ciò che è cristiano sminuisce la vita e il gusto della stessa, in tutte le sue espressioni, come se il segno di riconoscimento dell’essere cristiano fosse che si vive meno umanamente proprio perché si è cristiani.

Nel caso di Carras, la sua era un’umanità ricca e intensa, riconoscibile da chiunque. E quello che ha vissuto in tanti decenni ne è la riprova: dalle origini familiari a Gijón, agli anni di formazione nel noviziato della Compagnia di Gesù, fino agli anni intensi e turbolenti della militanza nell’HOAC e alle esperienze di impegno sociale negli anni post-conciliari, insieme ai suoi carissimi amici José Miguel e Carmina. Per limitarci agli anni in cui erano già a Madrid, hanno vissuto nella baraccopoli di Palomeras, poi in un appartamento assegnato dalla pubblica amministrazione nel quartiere operaio di Vallecas, quindi in una casa nella zona del Puente de Vallecas, e poi in diverse residenze a Roma, fino all’ultima bellissima casa in via Aurelia, negli ultimi anni in cui Jone assisteva i papi san Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco.

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Se ci focalizziamo sul suo impegno, forse la cosa più ovvia da dire è che è stato un educatore di generazioni di studenti, soprattutto delle scuole superiori, e che ha accompagnato centinaia di studenti universitari, coppie giovani e adulte, anziani, di persone dalle esigenze più svariate, insieme a Jone, nel suo modo di concepire la fisioterapia e la dimensione sociale di questo lavoro così prezioso per chi ne ha bisogno...

Ma la mera descrizione di questi fatti non basterebbe a cogliere l’origine della sua fecondità, che è maturata fino ad arrivare a quest’ultimo periodo in Spagna, dove a 82 anni ha vissuto un nuovo inizio, fino all’ultimo respiro, con uno spirito sereno e gioioso e con un impatto persino più grande di quello del suo sorprendente ritmo di visite e viaggi negli ultimi anni a diverse comunità e gruppi. La radice concreta, consapevole e amata, è il suo sì a Cristo, attraverso l’obbedienza a don Giussani e al Movimento in tutti i suoi responsabili, che lo ha portato a fare ciò che non avrebbe fatto se non avesse seguito l’obbedienza della fede (la vocazione): fare l’addetto alle pulizie, vendere libri, fare l’insegnante di religione, occuparsi delle relazioni pubbliche con alte autorità ecclesiastiche e civili, cioè svolgere lavori molto umili, assumere posizioni di responsabilità e anche cederle quando è stato opportuno. Non è difficile comprendere, da questa esperienza, ciò che Paolo dice agli Efesini: «Che il Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori, e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e di conoscere l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza».

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Se c’è un tratto inconfondibile della vita di Carras e Jone è la loro ospitalità ininterrotta nel tempo e davvero incommensurabile. Ecco perché ci risulta così chiaro il segno a cui il profeta Isaia relaziona il tempo della consolazione definitiva del Signore, la sua vittoria sul male e sulla morte: «Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati». Sappiamo bene che non si tratta di una metafora! Né abbiamo bisogno di molte spiegazioni per capire che quei banchetti erano segno di qualcosa di più, sempre qualcosa di più, che la loro premura verso ciascuno di noi era, in qualche modo, a servizio della salvezza di tutti, come appare nel racconto di san Luca sull’Eucaristia che abbiamo ascoltato: «Essi andarono e trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua. Quando venne l’ora, prese posto a tavola e gli apostoli con lui… Infatti, chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure, io sto in mezzo a voi come colui che serve». Poche affermazioni nei Vangeli sinottici hanno una tale densità nell’identificare il mistero di Cristo come queste frasi. Pure l’ospitalità traboccante e il servizio di Carras, che abbiamo visto innumerevoli volte con l’asciugamano da cucina e il grembiule addosso, non aveva altro scopo se non collaborare al bene e alla salvezza delle persone, ed è stato così fino alla fine. Abbiamo visto cosa dice san Bernardo: «La misura di amare Dio è amarlo senza misura» (De diligendo Deo VI, 16).

Carras amava focalizzarsi in frasi della Scuola di comunità che ripeteva come formule pedagogiche, alcune meravigliose, che hanno dimostrato la propria efficacia perché le ricordiamo: «Vince chi abbraccia più forte». È Carras allo stato puro. Altre erano battute, come lui stesso ammetteva, ridendo di sé. Ricordo una frase molto bella. Ripeteva che «la prova che la Chiesa è una continuità di Cristo è che è una, santa, cattolica e apostolica; la Chiesa è comprensiva e inclusiva, e questi sono tratti umanamente impossibili». Una coscienza matura, dice il don Gius, diventa unità per comprendere e includere tutto. Di questo aspetto “comprensivo e inclusivo”, di questa sintesi umanamente impossibile, abbiamo molti indizi nella vita di Carras e Jone, come, ad esempio, quella tenerezza viva e quell’intimità affettiva tra loro fino all’ultimo respiro, attraverso la quale si sono goduti il loro stare insieme in quello spazio in cui in teoria non ci sta nessun altro, e che vivevano unitamente all’instancabile disponibilità di entrambi per la missione affidata loro attraverso il servizio al Movimento.
Carras ha saputo anche andare, ad esempio, oltre la dialettica “scuola pubblica-scuola privata”, così diffusa in Spagna. Molti di voi qui hanno incontrato Carras nelle scuole private della zona nord di Madrid e la vostra vita è cambiata proprio perché c’è stato un professore di religione che insegnava nelle scuole di questa zona benestante. Ma siete qui in molti anche da Vallecas e la vostra vita è cambiata perché vi siete imbattuti in un insegnante di religione nei licei di questo quartiere operaio. Andava oltre queste contrapposizioni che umanamente sembrano insuperabili. È stato amico di ricchi e poveri, ha vissuto in povertà e ha abitato in case meravigliose. Ha accompagnato sposi e famiglie, dalle prime coppie che si sposavano in Spagna, agli inizi, alle famiglie adulte; ha avuto una stima infinita per i laici consacrati, Memores Domini, con cui ha condiviso questo ultimo periodo; e ha avuto a cuore i sacerdoti e si è sempre preso cura di loro. È andato oltre le contraddizioni che dividono e impoveriscono la Chiesa.

È possibile imitare una vita del genere? Forse no. Probabilmente, se qualcuno di noi volesse riprodurre i tratti della sua umanità seguendo uno schema, ne uscirebbe un’immagine, una sorta di modello esteriore un po’ caricaturale, grottesco. Ma possiamo seguire ciò che ha permesso all’umanità di Carras di essere così. Tutti noi possiamo seguire e imparare dalla storia che lui ha vissuto nella Chiesa, che molti di noi qui vivono nel movimento, finché la fede informi la nostra vita. La fede in Gesù Cristo ha informato l’umanità di Carras, che era la sua, irripetibile, ma la fede è la stessa e il frutto di una fede che informa la vita fiorisce nei modi che Dio vuole nella vita di ciascuno di noi.

L’ultima parola che ho sentito pronunciare da Carras in questa vita è stata domenica, al termine della celebrazione eucaristica, in un sussurro: «Grazie». È una bella parola per concludere. Poiché altre mie parole non bastano e forse non sarebbero sufficienti nemmeno quelle di altri, rendiamo grazie a Dio per la vita presente e futura di Carras, con le parole di san Paolo agli Efesini: «A colui che in tutto ha potere di fare molto più di quanto possiamo domandare o pensare, secondo la potenza che opera in noi, a lui la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù per tutte le generazioni, nei secoli dei secoli! Amen».

Madrid, Parroquia de Nuestra Señora de Guadalupe
11 gennaio 2024