Il cardinale Pietro Parolin (Ansa/Alessandro Di Meo)

Parolin: «Educare, un atto di speranza»

Il compito educativo della Chiesa, il cuore dell'uomo e l'"architettura della pace". Un intervento del Cardinale Segretario di Stato vaticano, che riprende l’intuizione pedagogica di don Giussani. Scarica il testo integrale
Paolo Perego

Il 12 marzo il Segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin, ha inaugurato l’edizione 2024 di “Basilica e Agorà”, kermesse promossa dalla Diocesi di Parma, quest’anno dedicata alla missione educativa delle comunità cristiane e di chi si impegna in prima linea nel rapporto con i giovani. Nel suo intervento, pronunciato nella Cattedrale della città emiliana, il Cardinale ha ripercorso le caratteristiche dell’educatore cristiano tra responsabilità e compiti, parlando di «educazione del cuore e di educazione alla pace».

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«La Chiesa è educatrice in quanto madre, e la prima educazione di cui la Chiesa-madre deve occuparsi è quella che si indirizza all’orientamento e al senso fondamentale della vita » ha spiegato Parolin, che in più passaggi della sua relazione - pubblicata integralmente da Vita Nuova, settimanale della Diocesi di Parma e inserto di Avvenire -, oltre che al magistero di Papa Francesco, ha fatto vari riferimenti a don Luigi Giussani, «una delle grandi figure di educatore cristiano che la Chiesa ci ha donato nei nostri tempi» e che «amava definire l’educazione come “introduzione alla realtà totale”: don Giussani suggerisce di assumere una “ipotesi di spiegazione totale della realtà” che parta da una tradizione. Per noi cristiani, questa tradizione è rappresentata dalla nostra fede, dall’interpretazione della realtà che ci fornisce il credo cristiano e la tradizione vivente della Chiesa».

Il rapporto con questa tradizione, continua Parolin richiamando il fondatore di CL, passa attraverso una auctoritas: «Senza figure autorevoli che presentano ai giovani una proposta affascinante di vita non c’è alcuna educazione». Da qui, terzo passaggio tratto da Giussani, la verifica: «Ogni giovane deve verificare da sé se tutto quello che il cristianesimo dice sulla vita, sulla morte, sul presente, sul futuro, sull’amore, sulla convivenza sociale, sulla famiglia… Se tutto questo realmente aiuta a vivere meglio. Cioè se la tradizione cristiana davvero aiuta ogni persona a confrontarsi con la realtà, a dare senso a tutto, a vivere bene e in profondità ogni cosa e, soprattutto, se questo modo di intendere la vita risponde alle esigenze profonde del proprio cuore». Così, «ogni educatore deve essere in un certo senso come Giovanni Battista che “fissando lo sguardo su Gesù” insegna ai suoi discepoli a guardare nella giusta direzione, a orientarsi verso colui che può dare una risposta alle loro ansie, alle loro ricerche, ai loro desideri».

In questo senso, allora, l’educazione asettica, “neutra”, si svela come un falso mito: «La Chiesa non deve aver timore di presentare la “proposta” cristiana, perché la visione della vita e la morale che essa contiene sono ben fondate, hanno passato il vaglio della storia e sono state fonte di felicità e di piena realizzazione per milioni di esseri umani, nonché fonte di progresso, di prosperità e di pace per tanti popoli nel corso dei secoli. L’educazione vuole anzitutto aiutare i giovani a scoprire il fondamento buono della vita. Essere al mondo è un dono ed è un bene».



Solo nell’alveo di questi presupposti, secondo Parolin, è possibile una “educazione del cuore”, tema centrale della prima parte della relazione: «Il cuore, per noi, non è il “produttore” di sentimenti, spesso caotici e contrastanti, o anche ciechi. La tradizione biblica ci ha insegnato a considerare il cuore come il “luogo spirituale” dove ognuno può vedere sé stesso nella sua realtà più profonda e vera, senza veli e senza fermarsi a ciò che è marginale. È la profondità metafisica di ogni persona. È l’intimo di ogni uomo, dove ciascuno vive il suo essere persona, il suo sussistere in sé, in relazione a Dio, agli altri uomini e alla creazione intera».

Educare il cuore passa dall’educare alla bellezza, anzitutto. Ma occorre anche un’“educazione emotiva”, capace di accompagnare i giovani a scoprirsi nei loro stati d’animo e comprenderne le cause, a non essere reattivi e, talvolta, a «prendere le dovute distanze». E serve un’attenzione all’“educazione affettiva”, come Parolin definisce l’accompagnamento «a diventare capaci di instaurare relazioni di amicizia e di amore stabili ed autentiche». Proprio all’“educazione all’amore” - «il fine più elevato a cui mira l’educazione del cuore» - il Cardinale dedica un approfondimento particolare: «L’amore è un’aspirazione, un’inclinazione radicata nel cuore umano che ci spinge a cercare una relazione nella quale siamo incondizionatamente accettati e voluti e nella quale accettiamo e vogliamo incondizionatamente l’altro. È un darsi e un riceversi senza riserve. Quando questo accade la persona scopre una nuova dimensione di sé e la sua esistenza compie un “balzo in avanti”». Educare all’amore è innanzitutto, però, invitare a scoprire che si tratta di un cammino con le sue tappe: «Dall’affinità emotiva all’innamoramento, all’approfondimento della conoscenza reciproca, alla maturazione di una scelta di definitività nella relazione...». Fino alla sfera sessuale - altro snodo dell’intervento del Segretario di Stato - con la «scelta finale di donazione e di accoglienza dell’altro che coinvolge la mente, il cuore, il corpo».

Ma «un cuore educato, secondo l’educazione integrale intesa dalla Chiesa, è senz’altro un cuore portatore e artefice di pace. In questo senso, educare il cuore dei giovani è già di per sé educarli alla pace». È questo il secondo passaggio chiave del discorso di Parolin: educare alla pace. «Le prime minacce alla pace si trovano infatti nelle relazioni personali inquinate dai “propositi di male” che escono dal cuore umano, di cui parla Gesù nel Vangelo». Accade «per strada, al lavoro, nelle scuole e negli uffici, con conoscenti o con estranei che incontriamo nelle nostre città». Cambiare noi stessi, spiega il Cardinale, fa parte di quella “architettura della pace” di cui parla il Papa. E questo riguarda il compito educativo: «Educare è un atto di speranza. Per educare, infatti, bisogna nutrire una speranza nella persona da educare che è portatrice di bene e di novità». Questo passa dall’educare alla solidarietà, al cambiamento. Al servizio della comunità.

Il Segretario di Stato chiude, infine, il suo percorso richiamando ancora una volta le parole del Pontefice: «Ha detto spesso ai giovani di non lasciarsi “rubare la speranza”. Anche di fronte ai conflitti presenti nel mondo, il compito educativo della Chiesa non deve mai venir meno, anzi deve trovare nuove motivazioni, perché è un’opera di formazione dei cuori che riaccende la speranza, ricrea la solidarietà e contrasta tutti i semi di violenza che la cultura dell’indifferenza e dello scontro seminano nelle nostre società e che preparano il terreno alle guerre. L’educazione è “una delle vie più efficaci per umanizzare il mondo e la storia”».