La carezza della Mater Strangosciàs

Torna in scena l'ultima opera del drammaturgo di Novate. L'attrice Arianna Scommegna spiega perché «questa fede profonda riesce a toccare corde dell'umano che sembrano indicibili». Fino al 4 novembre al Teatro Ringhiera di Milano
Luca Fiore

Arianna Scommegna non ha mai conosciuto Giovanni Testori. È uno dei migliori esempi del “Testori dopo Testori”, cioè quel fenomeno per cui l’opera del grande drammaturgo è rifiorita dopo la sua morte. Sembrava impossibile. Tutto pareva così legato alla personalità vulcanica dell’autore, che scriveva i propri drammi cucendoli addosso agli attori. Capitò con Franco Parenti, con Adriana Innocenti, con Franco Branciaroli. Sembrava impossibile il suo teatro senza di lui. E invece è capitato il contrario. Oggi Testori è considerato un classico. E a contendersi i suo testi sono gli attori migliori. La Scommegna è un’attrice bravissima. Lo ha dimostrato proprio nel 2009 portando in scena un testo tanto bello quanto difficile da interpretare: Cleopatràs. Il primo de I tre lai, l’ultima opera che Testori scrisse prima di morire e pubblicata postuma. Sono tre lamenti funebri che Cleopatra, Erodiade e la Madonna recitano davanti ai corpi esanimi di Antonio, Giovanni Battista e Gesù. Sono forse il momento più alto della drammaturgia di Testori. Furono rappresentati per la prima volta da Sandro Lombardi che per questo vinse due Premi Ubu. Ora Arianna torna in scena al Teatro Ringhiera aggiungendo alla sua Cleopatràs l’ultimo dei tre lai, Mater Strangosciàs.

Come si è ritrovata sul palco a recitare Testori?
Nel 2005 mi chiesero di fare una lettura di Cleopatràs. Io mi sentivo molto in soggezione. Ho sempre amato Testori, ma la sua mi sembrava una lingua difficilissima, incomprensibile, anche se molto affine per chi è nato e cresciuto qui. Ma quando mi sono messa a lavorarci sopra, me ne sono totalmente innamorata. Ho scoperto che la scrittura di Testori non è per niente supponente, anzi. Mentre cercavo di sviscerare i vari sensi, i vari movimenti di questa poesia, mi sono resa conto che è anche molto semplice, molto diretta. Certo, è una lingua che è più un grammelot che un dialetto. Ma se vai a lavorare dentro la materia di questa lingua ti sorprendi di quanto così vicina agli esseri umani. Non solo per gli intellettuali, per i sapienti o i dotti. Trae molto della sua forza dalla radice popolare. Poi c’è un altro aspetto che mi ha colpito...

Quale?
I tre lai sono stati scritti mentre Testori era in punto di morte, in ospedale. Questa cosa mi ha aperto un mondo. Mi ha commosso profondamente che un uomo alla fine della sua vita, malato di tumore, abbia il desiderio di salutare tutto, di salutare la sua vita, la sua famiglia, scrivendo in questo modo il suo testamento. Lui mette in scena tre figure femminili che mostrano tre aspetti dell’animo umano: quella più carnale di Cleopatràs, più legata ai sensi, all’amore e alla passione per il corpo, poi il limbo di Erodiàs fino alla parte più spirituale e ascetica della Mater Strangosciàs. Maria accetta il dolore della vita e lo trasforma in qualcosa di positivo, in un’accettazione. Lo trasforma in un “sì” che è il “sì” della Madonna quando dice all’angelo: «Va bene, io accetto di essere la madre di Gesù».

Che cosa ha significato per lei come donna confrontarsi con queste donne di Testori?
I poeti sono capaci di dare una musica a qualcosa che è quasi innominabile. Testori con la sua fede profonda riesce a toccare delle corde che sembrano indicibili. Io sento che c’è qualcosa che mi appartiene in quello che dice. E ringrazio il Cielo, Dio, o chi per esso, di creare i poeti, perché sono capaci di tradurre quello che tutti gli uomini hanno dentro, ma che pochi riescono a esprimere con tanta bellezza.

Qual è il punto che più l’ha colpita?
Di Mater Strangosciàs è questo “sì”. Il sì «per poter in su la terra vivare» (sic), scrive Testori. Un “sì” che è una cosa molto semplice. Che è un sorriso, alla fine. No?

I tre lai è un’opera molto “libera”, ma anche profondamente cattolica. È stato un problema per lei avere a che fare con questo aspetto?
No, non più di tanto. Anche perché Testori era una figura molto contraddittoria, anche all’interno della Chiesa era capace di scandalizzare chiunque. Non era proprio quello che si può definire un bigotto. Se uno non si pone con un pregiudizio, ma con uno spirito di curiosità scopre che Testori stesso lascia dei varchi, delle possibilità... Lui fa dire alla Mater Strangosiàs: «Un sì per poter in su la terra vivare / dillo ai qui stanti spettatori / fede che abbiano / oppure invece no». Anche se tu non hai fede, non hai fede in Me... Questo è un sì anche più grande.

Perché la scelta di continuare con l’ultimo dei Lai saltando Erodiade?
È stata una decisione che ho preso con il regista Gigi Dall’Aglio. Certe volte non sai bene perché fai una cosa. Magari il perché lo capisci negli anni. Forse l’urlo disperato nel finale di Cleopatràs ci è rimasto un po’ sul groppone. Avevamo il desiderio di una carezza, di un abbraccio. E in questo senso Mater Strangosciàs è un testo molto più dolce. Forse anche per noi... era doveroso farci una carezza.


Da giovedì 25 a domenica 28 ottobre e da giovedì 1 novembre a domenica 4 novembre
CLEOPATRÀS E MATER STRANGOSCIÀS – ATTO UNICO
di Giovanni Testori
Con Arianna Scommegna, regia Gigi Dall’Aglio, al violoncello Antony Montanari (Cleopatràs), alla fisarmonica Giulia Bertasi (Mater Strangosciàs) scene Maria Spazzi
Dal giovedì al sabato ore 20.45, domenica ore 16.00
Teatro Ringhiera, via Boifava 17
Biglietti 15/10 euro