Sandro Veronesi (Foto Ansa)

Veronesi: «Quell'invito del Papa a non avere paura»

Le parole di Francesco ad oltre 250 artisti il 23 giugno nella Cappella Sistina raccontate dallo scrittore fiorentino: «C’era una comunione che di solito non è data provare»
Riccardo Bonacina

Non è la prima volta che Sandro Veronesi incontra sulla sua strada un Papa, e sempre con delle conseguenze. Non sappiamo ancora cosa l’ultimo incontro, quello del 23 giugno scorso nella Cappella Sistina insieme a 250 artisti convocati da Papa Francesco, potrà generare, ma lo intervistiamo per capire se qualcosa è successo. Veronesi, scrittore laico pluripremiato che ha firmato romanzi importanti come La forza del passato, Caos calmo, Terre rare e Colibrì è autore coraggioso capace di avventurarsi in territori delicati e inediti. Quando Giovanni Paolo II spedì il Vangelo di Marco alle famiglie romane in preparazione del Giubileo, dopo averlo trovato nella posta, decise di leggerlo. «Come molti altri, conoscevo meglio Matteo, il Vangelo degli intellettuali, quello con cui si erano misurati Pasolini, Fellini... Nei confronti di Marco nutrivo un pregiudizio diffuso, che fosse primitivo, non all’altezza degli altri. Però se il Papa lo aveva suggerito per il Giubileo, mi dissi, valeva la pena riprenderlo in mano. E che sorpresa», come ha raccontato lui stesso. Veronesi è così, una persona seria, che accetta gli inviti seri perché sa che poi diventano occasione creativa e di conoscenza di sé e del mondo. Da quell’invito del Papa polacco nacque poi un libro importante e avvincente come Non dirlo. Il Vangelo di Marco, uscito nel 2015.
C’è poi un altro incrocio tra Veronesi e i papi, questa volta con Francesco che il 27 aprile 2020, in pieno lockdown per il Covid, nella sua messa mattutina in Santa Marta, rivolse una preghiera speciale per gli artisti «che hanno questa capacità di creatività molto grande e per mezzo della strada della bellezza ci indicano la strada da seguire. Che il Signore dia a tutti noi la grazia della creatività in questo momento». Colpito da tale intenzione e preghiera, Veronesi prese carta e penna e il 29 aprile uscì su il Corriere della Sera una lettera di ringraziamento: «Caro Francesco, Santo Padre, ti scrivo per rappresentarti la commozione di tanti miei amici artisti per la preghiera con la quale, lunedì mattina, prima della messa delle sette, li hai rammentati. (…) Ne è nato un gran subbuglio, caro Francesco, perché i miei amici artisti hanno desiderato fin da subito farti toccare la loro gratitudine» (a quella di Veronesi seguirono le firme di Mimmo Paladino, Stefano Accorsi, Alfredo Francesco De Gregori, Rosario Fiorello, Alessandro Haber, Ferzan Ozpetek, Gabriele Salvatores, Carlo Verdone e altri).
Insomma, di Veronesi si potrebbe dire quanto scrisse su di sé Simone Weil nel 1938 in una lettera a Georges Bernanos: «Non sono credente, ma mai nulla di cattolico, nulla di cristiano mi è sembrato estraneo», o per dirlo con parole sue: «Il cristianesimo è un frutto a disposizione di tutti». Con questa disposizione il 23 giugno scorso si è seduto nella cappella Sistina ad ascoltare il Papa. «Ascoltarlo nel senso letterale, perché avendo un rasta davanti a me che si muoveva sempre nella direzione in cui io mi spostavo non ho visto neppure per un minuto il Papa e perciò mi sono concentrato nell’ascolto, nonostante il capolavoro di Michelangelo, seguendo anche ciò che diceva piegato sul testo che ci era stato dato (in inglese essendo finita la versione italiana). Per questo mi hanno colpito le varianti che il Papa ha fatto al momento, sottolineando e approfondendo alcuni concetti».

Per esempio?
Mi ha colpito quando ha detto che l’artista è un bambino e che si muove anzitutto nello spazio dell’invenzione, della novità, della creazione, del mettere al mondo qualcosa che così non si era mai visto. In questo passaggio il Papa invita a una disobbedienza dolce, quella dei bambini, che hanno la testa piena di sogni e costruiscono un sogno originale e creativo anche giocando. Spessissimo i papi hanno stimolato e promosso arte sublime, ma lo facevano dentro canoni che non si dovevano trasgredire. Qui Francesco va oltre e spinge a portare alla luce l’inedito, una realtà nuova, originale, senza aver paura. Invita gli artisti a non avere paura.

Sandro Veronesi con Papa Francesco (Vatican Media/Catholic Press Photo)

Viene in mente un personaggio del suo ultimo romanzo, Colibrì: Miraijin la nipote orfana che il protagonista Marco Carrera cresce e che lo accompagnerà fino alla fine. Il nome giapponese significa “uomo nuovo”, ed è lei che darà un senso all’esistenza di Marco, il colibrì che nonostante i 70 battiti al minuto delle ali rimane fermo…
Ma c’è un punto del discorso del Papa che trovo incredibile: quello sull’armonia. Se me lo permette lo rileggerei così come è stato detto.

Prego.
Dice Francesco: «L’armonia è quando ci sono delle parti, diverse tra loro, che però compongono un’unità, diversa da ognuna delle parti e diversa dalla somma delle parti. È una cosa difficile, che solo lo Spirito può rendere possibile: che le differenze non diventino conflitti, ma diversità che si integrano; e nello stesso tempo che l’unità non sia uniformità, ma ospiti ciò che è molteplice. L’armonia fa questi miracoli, come a Pentecoste. Sempre mi colpisce pensare allo Spirito Santo come quello che permette di fare i disordini più grandi - pensiamo alla mattina di Pentecoste - e poi fa l’armonia. Che non è l’equilibrio, no, per fare l’armonia ci vuole prima lo squilibrio; l’armonia è un’altra cosa rispetto all’equilibrio. Quanto è attuale questo messaggio: siamo in un tempo di colonizzazioni ideologiche mediatiche e di conflitti laceranti; una globalizzazione omologante convive con tanti localismi chiusi».

Un invito a non aver paura del disordine e dello squilibrio…
Mi è parso il passaggio più sorprendente, più nuovo. Il Papa non si è fermato a dire di non confondere armonia con equilibrio, ma è arrivato a precisare che l’armonia è tale se riesce a far stare insieme le cose che non possono stare insieme e che quindi l’armonia passa dallo squilibrio, dallo sbilanciamento. È un passaggio importantissimo in ogni creazione artistica, questa idea che l’armonia sta da un’altra parte rispetto all’equilibrio e che deve avere il coraggio di affrontare lo squilibrio. È una cosa molto cristiana (chi, se non Cristo sulla croce, ha vissuto lo squilibrio?), ma anche molto evoluta dal punto di vista ermeneutico. È un invito a rifuggire l’uniformità, il pensiero unico. Non sono in tanti a dire cose così neppure nel campo artistico. Ecco, lo poteva dire Carmelo Bene. Anche perché è un pensiero equivocabile, e il Papa non solo ci invita a non aver paura, ma dimostra di non averla lui stesso.

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Alla fine, il Papa è riuscito a vederlo da vicino?
Si, ci ha voluto salutare uno per uno, credo fossimo quasi 250! È stata una grande emozione, non me lo aspettavo, solo 15 giorni prima aveva subito un intervento chirurgico non banale. Io non pensavo ci salutasse così, c’era una comunione che di solito non è data provare. Mi è parso si sia trattato di un momento importante per lui e per noi, un momento in cui è successo qualcosa. Il tempo ci dirà cosa è successo.