La mostra “Resurgence. Vivere e ripensare la città” (Archivio Meeting)

La città, tra speranze e desideri

Il tema della rigenerazione urbana in una mostra a Rimini. Ma anche lo stupore di fronte al "Grande Cretto di Gibellina" di Alberto Burri. Un architetto racconta il "suo" Meeting
Lorenzo Margiotta

«La città sono le persone» dice, citando Shakespeare, il professor Molinari, critico dell’architettura, uno dei volti che compongono Resurgence. Vivere e ripensare la città”. Stiamo parlando della mostra che, nell’edizione di quest’anno del Meeting per l’amicizia fra i popoli, si interrogava sulla città contemporanea, il suo sviluppo, la sua trasformazione. Una riflessione che la kermesse riminese ha avviato da diversi anni, attraverso mostre e convegni.

Filo rosso della mostra sul tema della rigenerazione urbana era l’idea di città come luogo delle relazioni, attraverso le voci di architetti, filosofi, scrittori, sociologi, che si sono confrontati con il titolo dell’edizione appena trascorsa: “L’esistenza umana è un’amicizia inesauribile”. Tra questi, Stefano Boeri ritiene che «uno dei più grandi problemi dell’urbanità contemporanea sia la solitudine, sia individuale sia sociale». La città è allora il tentativo di dare risposta a una domanda di socialità, di convivenza, attraverso la forma dei luoghi della nostra vita. «La città è il grande sogno dell’uomo, è il luogo in cui gli uomini convivono», prosegue Ignacio Vicens y Hualde, architetto spagnolo, che aggiunge: «Non è sufficiente che tra gli uomini ci siano delle relazioni, ma occorre che queste relazioni siano positive». «Se una città non ha speranza, muore e vede emergere la rabbia dei suoi cittadini - rilancia Molinari -. La città è il prodotto di un desiderio. Il progetto risponde a un desiderio costruendo luoghi che diano speranza e casa a chiunque».

Al centro della mostra, disposti su un lungo tavolo da lavoro, c’erano disegni, fotografie e modelli di una decina di progetti “esemplari”, che raccontano di parti di città rigenerate e di edifici capaci di trasformare in meglio i luoghi in cui si trovano. Su tutti ne spiccavano due. La Torre Velasca - cara ai milanesi, abituati a vederla stagliarsi nel proprio skyline -, un edificio che “fa città”, con un “carattere milanese”, che regge l’urto del tempo. E lo straordinario progetto dello studio Lacaton e Vassal (vincitori del Pritzker Architecture Prize 2021): la ristrutturazione di un grande complesso di edilizia popolare a Bordeux, che consiste nella giustapposizione, sulle vecchie e tristi facciate, di strutture in cemento e metallo che diventano terrazze e giardini d’inverno aperti sul paesaggio, perché «Le abitazioni devono offrire libertà d’uso, generare possibilità di evoluzione, interpretazione e appropriazione, offrire tanto spazio extra da usare liberamente per promuovere relazioni, per realizzare situazioni piacevoli».

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Ma c’era un’altra immagine che colpiva lo sguardo di chi percorreva i padiglioni della Fiera di Rimini, ed era la fotografia del Grande Cretto di Gibellina, che campeggiava su una grande parete della mostra “Burri. Forma Spazio Equilibrio”, accanto al “Sacco” (Scenografia per L’Avventura di un povero cristiano, atto I, 1969). Distrutta del terremoto che nel 1968 colpì la Valle del Belice, la città di Gibellina è stata ricostruita su un nuovo territorio, mentre i suoi ruderi sono stati oggetto di un intervento di land art ideato da Alberto Burri. Il Grande Cretto è un memoriale che racchiude e custodisce al proprio interno, in termini fisici e metaforici, la traccia del passato e della vita della comunità sconvolta dal sisma. L’opera, composta da ventidue cubi di cemento bianco che rievocano la struttura delle abitazioni sottostanti, si estende in scala monumentale lungo il pendio della collina, sulle macerie della città.Con Burri il Meeting ha voluto accogliere un altro grande protagonista dell’arte contemporanea. Non ultima tappa di un racconto destinato a continuare.