Davide Rondoni durante le riprese di "Sacritalia"

Ciò che resta quando tutto si consuma

Un viaggio poetico alla scoperta delle manifestazioni del sacro nel nostro tempo. È "Sacritalia", un programma di Davide Rondoni in onda giovedì 21 dicembre su Rai Due. L'intervista al regista, Francesco Castellani
Luca Fiore

Non è facile dire che cosa sia Sacritalia di Davide Rondoni, per la regia di Francesco Castellani, che andrà in onda su Rai Due, giovedì 21 dicembre alle 23,15. Un film? Un documentario? Una lunga poesia travestita da documentario? Difficile far entrare un’opera del genere nelle categorie con le quali vengono ritmati i palinsesti televisivi. Detta in modo semplice, potremmo dire che si tratta di un viaggio in alcune manifestazioni del sacro nell’Italia contemporanea. Un itinerario sui generis, che vede Rondoni nella sua veste di poeta col cappello e i braccialetti, che recita versi, visita luoghi sconosciuti e meravigliosi, si sdraia sui pavimenti di antiche chiese, parla a tu per tu con un serpente (vivo), magnifica la sua Romagna dalle discoteche rumorose e le marine silenziose. A questo ballo partecipano alcuni suoi vecchi amici come Ambrogio Sparagna e David Riondino; entrano in scena preti dal fascino poco telegenico; appaiono giovani e belle performer; un poeta pugliese ci spezza il cuore con una poesia sul fumettista Andrea Pazienza. Un cocktail di sacro e profano, dove il “profano” è come l’ombra per la luce, impossibile pensare l’una senza l’altra. Il filmmaker Francesco Castellani, freelance con molti documentari RAI alle spalle, ha inseguito Rondoni con la sua telecamera e ha cercato di mettere ordine al ribollire creativo del poeta romagnolo.

Che esperienza è stata lavorare a questo progetto?
Al di là del risultato finale, che saranno i telespettatori a giudicare, quello con Davide è stato un incontro molto bello. Si è creata una sintonia tra di noi. Non ci conoscevamo e il rapporto è nato strada facendo. Era un progetto delicato e complicato. Difficile. Impossibile da racchiudere in una cornice televisiva di 50 minuti.

Perché difficile?
Rai Documentari, che ha prodotto il video, ha la mission generale di realizzare racconti di divulgazione popolare. E il tema del sacro non è popolare nel senso che lo si intende quando si pensa a un prodotto da mettere in onda in televisione. Davide ha scelto un approccio alto e io ho cercato di aiutarlo, attraverso scelte proprie del linguaggio visivo - penso alla musica e al ritmo dettato dal montaggio –, a evitare di chiudere il discorso in una dimensione intellettualistica.

Davide Rondoni durante le riprese di ''Sacritalia''

A tratti sembra una poesia travestita da documentario.
Sicuramente non è un documentario classico, potremmo intenderla come una deriva poetica di Davide, che mette se stesso dentro un confronto con il territorio italiano, affidandosi ad alcune certezze e suggestioni che conserva nel cuore e che cerca di trasmettere. È un’operazione “antitelevisiva”, in un certo senso, che va contro le normali logiche della tv e, per questo, ringrazio la Rai Documentari perché ha avuto il coraggio di darci carta bianca.

Siete stati a Roma, a Cesenatico, a Cocullo in Abruzzo, a San Severo in Puglia… Quale tappa l’ha più colpita e coinvolta di più?
Avrei voluto lavorare di più a Cesenatico sul tema del contrasto tra l’intrattenimento furioso e la dimensione mistica del mare. Ma, a parte il finale a Monte Sant’Angelo che mi piace tornare a vedere, credo che la tappa che più mi è rimasta impressa sia quella di Cocullo, in provincia dell’Aquila, dove c’è la festa dei serpari (i cacciatori di serpi) e la processione di san Domenico. Lì, immerso in questa natura abruzzese, ho visto il rapporto di anziani e giovani con tradizioni millenarie che sono ancora così forti. Lì si vede che il rapporto con il sacro non solo è vivo, ma è decisivo, anche se complicato e, per certi aspetti, contraddittorio. Io e Davide abbiamo formazioni diverse, ma c’è una cosa su cui siamo assolutamente d’accordo.

Che cosa?
Non si può vivere senza forme di sacro. Certo, ognuno le vive e le interpreta a modo suo. Io, personalmente, ritengo che sia molto importante ciò che riusciamo a produrre di sacro nel rapporto con l’altro, con gli altri. Oltre alle dimensioni spirituali personali, religiose, di fede che ognuno può vivere da solo o dentro una dimensione collettiva, credo che la riscoperta del sacro debba corrispondere a una riscoperta dell’importanza dell’altro sotto tutti i punti di vista. E lo dico anche perché viviamo in un momento storico in cui sembra che sia l’altro la causa dei nostri problemi.

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Che cosa ha scoperto con questo lavoro?
Questo viaggio non è stato sufficiente a esaurire il tema enorme della presenza del sacro nella contemporaneità. Occorrerebbe svilupparlo almeno in una serie di tre o quattro episodi. Ma ciò che ho visto mi ha confermato nella convinzione che, nonostante la massiccia e pervicace intrusione della materia e del materiale, del consumo e del consumismo nella nostra vita, il sacro resta una forma di ancoraggio alla realtà: non c’è senso se non troviamo qualcosa di sacro nella nostra esistenza. Questo, dicevo, lo pensavo anche prima, ed è per questo che abbiamo inserito dei passaggi in cui Pasolini – da un punto di vista laico – parla di miracolo e della meraviglia di fronte all’esistenza delle cose. Penso poi che sia importante per la Rai, e per la televisione in genere, proporre programmi del genere. Si può magari sbagliare e non fare un prodotto perfetto, ma occorre confrontarsi con questa materia. Non si può sempre e comunque inseguire gli indici di gradimento e ciò che pensiamo essere i gusti dominanti, perché si corre il rischio di non raccontare più certe storie, finendo per non confrontarsi più con temi che sono comunque fondamentali.