L'incontro di Giarre (Catania)

"Cicely in Sicily". Un libro in tour

Catania, Palermo, Giarre, Castellammare, Messina... La storia della Saunders raccontata in "Di cosa è fatta la speranza" protagonista, con l'autore Emmanuel Exitu, di vari incontri in Sicilia. Il racconto di questo viaggio
Maria Gabriella Ricotta

«La speranza è fatta di cose che hanno bisogno di qualcuno che le faccia accadere». Questo c’è scritto sulla quarta di copertina di Di cosa è fatta la speranza (Bompiani), il “libro del mese” che abbiamo presentato in Sicilia con “Cicely in Sicily”, un tour insieme a Emmanuel Exitu, l’autore, che ha toccato le città di Castellammare, Palermo, Messina, Giarre e Catania e che è stato promosso dai centri culturali di queste città. La speranza accade ed è una continua scoperta. E lo è stata anche per noi.

La prima cosa bella di questo lavoro è stato farlo insieme. Sebbene i nostri centri culturali siano dislocati in quattro diverse province dell’isola, abbiamo avuto in dono di lavorare assieme come fossimo uno. Tutto è nato da una difficoltà legata ai costi che rischiava di fare saltare la presentazione in almeno due delle cinque città che avevano dato disponibilità ad organizzare l’evento, ma questo limite è diventato occasione.

Emmanuel Exitu, a sinistra, a Castellammare del Golfo (Trapani)

L’invito alla lettura del libro di Emmanuel Exitu sulla storia di Cicely Saunders è stata una proposta che è arrivata dritta al cuore per noi, ma non solo per noi. Il dolore e la morte e, soprattutto, la possibilità di una speranza, anche quando la vita si avvia inesorabilmente verso la fine con tutto il suo corredo di fragilità e di dolore, è una questione che riguarda tutti. E noi - come centri culturali, ma ancor prima come persone - avevamo a cuore che si mettesse a tema non appena il limite, ma la speranza di fronte all’ultimo passo. Aveva senso, quindi, non fermarsi e provare a buttare il cuore oltre l’ostacolo.

A Palermo è stato trovato uno sponsor e abbiamo deciso di condividerlo con tutti gli altri centri culturali siciliani che avevano aderito al gesto, cosa che ci ha consentito di fare le cinque presentazioni senza cancellare alcuna tappa. I soldi non erano tanti, ma facendo i conti col criterio “del buon padre di famiglia” abbiamo fatto in modo che bastassero per tutti. Il fatto di avere concepito e promosso il gesto insieme, a livello organizzativo ci ha permesso di ottimizzare tempi e costi, oltre che raggiungere molte più persone su tutto il territorio regionale. Ma non solo: è stata anche l’occasione di lavorare insieme, cercarci, confrontarci, fino a sorprenderci nel riscoprire la bellezza, la ricchezza e l’originalità di ciascuno, per cui, prima ancora che ci fosse l’incontro, eravamo già lieti. Una novità: facendo quello che facciamo sempre, ci siamo sorpresi con un cuore e uno sguardo diversi. E questo ha fatto la differenza prima di tutto per noi, oltre che ridare speranza e forza al nostro lavoro, con un risultato fecondo anche negli esiti.



Nonostante la durezza dell’argomento, abbiamo riempito le sale, perché non ci siamo rivolti a pochi o “al nostro interno” - come talvolta siamo tentati di fare -, ma a tutti. E lo abbiamo fatto non a partire da un discorso ideologico, ma da un’esperienza, aiutati in questo dal libro stesso di Exitu, che non propone un discorso sul fine vita, ma racconta la storia di una donna che ha scelto di stare davanti ai malati terminali senza censurare niente del loro dolore e della loro umanità, una donna che ha avuto il coraggio di scegliere la speranza come possibilità per guardarli. Il taglio proposto da Exitu nel suo libro è stato essenziale per liberare un tema sensibile e di grande attualità dallo scontro e dalla polemica ideologica, dalla logica oppositiva dei fan club contrapposti, per restituirlo all’ambito dell’esperienza umana e dell’osservazione medica. Tutto mettendo al centro la persona e il bisogno che essa esprime quando arriva il dolore, proprio come ha fatto Cicely.

Per farsi che davvero questa proposta arrivasse a tutti, abbiamo lavorato molto anche sulla comunicazione, veicolandola a livello regionale, promuovendo tutte le tappe del tour ed mettendo in risalto i contenuti che ci stavano più a cuore, aiutati anche da tanti medici amici. Un gesto corale, insomma, per nulla scontato, dove ciascuno ci ha messo qualcosa.

Anche la scelta delle location per le presentazioni è stata frutto di un lavoro: abbiamo puntato su luoghi laici come la sede dell’Ordine dei Medici, una scuola, un palazzo comunale, per esempio. In platea si è seduto un popolo variegato fatto di medici, giornalisti, malati, gente comune, giovani e meno giovani, e in ogni incontro il dialogo, che non è mai mancato, si è svolto in modo sereno e, se anche a tratti drammatico, sempre costruttivo.

Desideravamo che la nostra proposta fosse occasione di incontro tra le persone, e così è stato. Anzi, il dialogo è proseguito, per esempio, anche nelle cene con i relatori, gli sponsor e gli amici, dopo le presentazioni: un piccolo avvenimento nell’avvenimento.

«Leggetemi I promessi sposi», chiedeva Carlo Emilio Gadda, mentre stava per morire, come ha raccontato Emmanuel durante la presentazione di Palermo, nel salone dell’Ordine dei Medici. Così, a cena, l’oncologa palliativista che aveva fatto da correlatrice all’incontro ha chiesto a una nostra amica del centro culturale se eravamo disposti, di tanto in tanto, a leggere libri o poesie per qualche malato. Perché le cose nascono così, in modo semplice, come tutte quelle che ho visto accadere in questa occasione. Una delle tante forse, ma che aveva dentro un accento nuovo e nel cuore l’eco dell’invito del Papa a tornare a mettere le mani in pasta, a non stare fermi.

Ripensando alla fatica di certi momenti in cui ci siamo chiesti come andare avanti e come rispondere all’indicazione di Papa Francesco, sono stata grata per ciò che ho visto accadere, qualcosa che fonda la speranza di una novità possibile nelle cose di sempre. Bisogna solo decidere di fargli spazio, rinunciando all’autoreferenzialità e alla pretesa di fare da sé. È servire un’opera anziché servirsene, perché emerga la verità di ciò che portiamo e non quanto siamo bravi noi. È tutta una questione di sguardo.

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Non è rimasta una sola copia del libro di Exitu invenduta ai banchetti allestiti fuori dagli incontri. I giorni successivi alle prime presentazioni sono stati scanditi dalle telefonate di Emmanuel che commentava e ringraziava per qualcosa che stava edificando anche lui. L’eco dei fatti è durato giorni, anche sulla stampa. Alla fine, resta su tutto uno stupore pieno di gratitudine e una preghiera: che accada ancora, che accada così, come il riaccadere di una amicizia che viva e parli a noi e a tutti di cose vere e di una speranza possibile.