La Via Crucis di GS durante il Triduo a Rimini (Giacomo Bellavista/Fraternità CL)

«La promessa che ci attende»

Un giovane insegnante racconta che cosa ha visto accadere al Triduo pasquale di Gioventù Studentesca
Bernardo Cedone

Prima sera. Io e i miei studenti entriamo trafelati mentre la grande sala è già gremita da migliaia di persone, ragazzi e adulti arrivati a Rimini da tutta Italia per il Triduo pasquale di Gioventù Studentesca. Sui grandi schermi le immagini ritraggono l’incontro di Gesù e della Samaritana al pozzo, episodio che ci avrebbe accompagnato nei giorni successivi. Il gesto si era aperto, poco prima, con una sorpresa: Matteo Severgnini aveva appena letto il saluto di papa Francesco, il quale ha tenuto personalmente a inviare un messaggio ai ragazzi di GS, invitandoli a «rinnovare la gioia di essere figli di Dio» perché è Lui che «a tutti noi, dice: “Ti ho amato di amore eterno: per questo continuo ad esserti fedele” (Ger 31,3)». Io e i ragazzi del mio gruppo arriviamo appena in tempo per ascoltare le note di What I was made for di Billie Eilish e di Povera voce. Mentre ascolto penso a quanto mi sento a casa entrando in un luogo che, fin dal primo momento, con questi canti, con le parole del saluto di Davide Prosperi («un’amicizia carica di promessa […] amicizia con Gesù, che ci apre a tutto»), mi rimette di fronte alla verità di me: bisogno sterminato di essere che ha incontrato un luogo capace di accoglierlo e rispondervi pienamente, come sta iniziando a scoprire anche ciascuno dei più di tremila ragazzi che ora vedo attorno a me.

Il Triduo di GS a Rimini (Roberto Masi/Fraternità CL)

La mia attenzione diventa ancora maggiore quando don Fabio Colombo ripropone le domande più urgenti arrivate nei numerosi contributi. Si può vivere una vita unita, senza essere “uno” quando sono a GS e “un altro” quando sono a scuola o in famiglia? Oppure: alcol e sballo sono i tentativi che faccio per non pensare, ma muoio dentro e desidero qualcosa d’altro: chi posso seguire? O ancora: è possibile amare senza ricatti?

Di fronte alle parole di Geremia che danno il titolo al Triduo («Ti ho amato di un amore eterno: per questo continuo a esserti fedele») si può restare increduli: un amore eterno, per me? Per me, che mi sento uno tra i tanti? Per me, che non faccio in tempo ad affezionarmi che già temo di perdere chi ho incontrato o di essergli di peso?

Anna è al suo primo Triduo, conosce pochissimi: sul pullman modalità cappuccio e cuffie on. Ma in poche ore qualcosa cambia, finché dice: «Certo che qui siete proprio una famiglia». Nelle sue parole avverto però un velo di tristezza. «Sì, perché non è per me. Io temo sempre che gli altri stiano con me per beneficenza. È pazzesca l’attenzione che c’è qui tra voi, ma io vivo sempre sul “chi va là”. L’amore gratuito di cui si parla in questi giorni io non so cos’è». Eppure Anna è qui. È qui perché è stata desiderata da amici che per invitarla non hanno atteso che lei diventasse capace di vivere i rapporti in modo «maturo», così dice lei. Non ti accorgi che l’avventura è già iniziata? E che l’affetto di questi amici già dà battaglia ai tuoi timori?

Il video di don Giussani proiettato a Rimini durante il Triduo di GS (Roberto Masi/Fraternità CL)

Giulia è venuta dalla Puglia e ascoltando le parole di don Fabio si è ritrovata: «È vero, quando mi guardo sono sempre piena di pretese, ma la purezza con cui Cristo guarda la Samaritana è la stessa che c’è tra noi. Qui ci guardiamo così: senza maschere, senza filtri». Filtri: quelli con cui ritocchiamo le nostre foto, ma soprattutto quelli con cui ci mascheriamo davanti agli altri, «un po’ come si tace un’onta» o «una speranza ineffabile», direbbe Rilke. C’è un luogo dove tutto questo è contraddetto: non si deve scappare, non si deve - come aveva fatto la Samaritana - cercare il pozzo più lontano per evitare scomodi incontri. Qui ciò che sono, misteriosamente, può venire allo scoperto, e chi arriva accusa subito il colpo. Lucia, al Triduo per la prima volta, viene dalla Basilicata. «Sono sempre stata scettica sulla fede, ma da quando vi ho conosciuti sono stupita. Ora mi è venuta un’altra domanda: che cosa c’è veramente tra voi? È stupendo, ma non so ancora dire perché è così». Sentirsi finalmente guardati e considerati nel profondo, non per un particolare talento né per un particolare problema che si vive: amati perché ci siamo, senz’altro motivo. Nascono da qui l’affezione per questa compagnia e la curiosità per la sua origine, e non solo. Gabriele, 15 anni, rimane colpito dalla veemenza con cui don Giussani, in un breve video, parla della missione («Mi è stato fatto il dono della fede, perché io lo dia, lo comunichi!»). Quando ci si accorge di questo amore ricevuto, infatti, in modo inatteso si scopre che forse proprio comunicare questo dono è il vero il compito di tutta la vita.

Lo stesso affetto, immeritato e senza misura, è ciò di cui ha raccontato don Francesco Ferrari nella sua testimonianza. Ha colpito me e tanti sentirlo raccontare della sua giovinezza, nella quale amaramente aveva già fatto esperienza di amicizie «in cui c’era sempre qualcosa da dimostrare». Proprio in quell’epoca il cristianesimo gli si palesò con queste fattezze: una compagnia interessata alla sua vita. «Ricordo ancora il primo raggio. Si lavorava su una frase di Giussani: “Il più grande errore dell’uomo è trascurare sé stesso”. Quel giorno mi sentii letto: e quando uno si sente capito, sente di avere trovato una casa». La prima sera la canzone di Billie Eilish chiedeva drammaticamente per chi o per che cosa valga la pena vivere. Francesco ha offerto un’ipotesi: «Chi ero veramente io? Decisi di puntare su quell’amicizia per scoprirlo». Quegli amici, continua Francesco, che ripetevano spesso: «Qui siamo felici, perché c’è Dio». «All’inizio capivo per davvero solo la prima parte di quella frase, perché sperimentavo quella felicità. Proprio per questo motivo divenne così interessante scoprire la verità anche della seconda parte», cioè quella sull’origine di questa felicità. Colpisce, nel finale, ascoltarlo mentre dice che la fonte di questo amore si rivela in una storia, fatta di nomi e cognomi - tra i molti, uno in particolare, quello di Marta Bellavista - una storia in cui si svela, nel tempo, qualcosa di più dei volti stessi. «Io sono certo per una storia. Più ci cammino dentro, più questa mi consegna la testimonianza di un amore più grande della somma di questi volti».

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Ora si torna a casa, appena prima della volata dell’ultimo mese e mezzo di scuola. Torno a casa grato e stupito per tutto quello che ho visto e ascoltato, e per una cosa in particolare. Non insegno da molti anni, ma comunque da un tempo sufficiente per accorgermi di quanto “strano” sia ciò che mi è successo con i colleghi e i giovani amici con i quali ho partecipato al Triduo: una familiarità, una simpatia reciproca, una così grande passione per il destino l’uno dell’altro. E fino a pochi mesi fa nemmeno ci conoscevamo. È questo che, anche se l’anno scolastico sta finendo, rinnova in me il senso di una promessa e la curiosità di vedere che cosa ci attende.