Un alpino fa il volontario alla Giornata della colletta alimentare

Colletta alimentare. Italy in a day

Un’Atlantide sommersa. Ritratto in presa diretta del nostro popolo. Descritto sempre in preda a paure e incapace di ripartire. Eppure qui trovate dati, dialoghi e gesti che dicono altro (da Tracce, gennaio 2015)
Maurizio Vitali

«Che cos’è il genio? È fantasia, intuizione, decisione e velocità d’esecuzione». La scena si svolge all’ingresso di un supermercato durante la Colletta alimentare. Un trentenne volontario con la pettorina percorre a ritroso la scala mobile che scende, muovendosi abilmente a rovescio così da restare appaiato ad una coppia di mezza età che sale regolarmente sulla rampa giusta, e avere il tempo di rifornirla in volo di volantino e ragguagli per la spesa che, giustificandosi con la fretta, l’uomo e la donna non avevano voluto ricevere a terra. Che cos’è il genio... La voce fuori campo del mitico episodio del Necchi in Amici miei sarebbe perfetta anche per il caso nostro, in cui il genio non sta in un film ma agisce nella realtà, in un pezzo di realtà italiana. Una realtà che per 364 giorni all’anno sembra conoscere solo il segno “meno” accanto ai suoi indicatori principali e nelle pagelle di Moody’s; poi c’è un giorno con il segno “più”, il giorno della Colletta alimentare. Più 2% di prodotti raccolti per i poveri (9.200 tonnellate), in un momento di crisi così, rappresentano un fenomeno in netta controtendenza, proprio come il geniale marciatore a rovescio in pettorina sulle scale mobili.

Il 29 novembre è stato il giorno di un evento nazionale che dopo 18 anni conosce sempre una nuova giovinezza: accade che 135mila volontari spremano tempo e fatica in letizia e col sorriso in faccia, senza rabbie e lamenti che sono così normali; e che 5 milioni e mezzo di persone (fatti due conti, rappresentano quasi un terzo delle famiglie italiane) facciano posto nel loro cuore, come ha chiesto papa Francesco, all’urgenza di cibo di sconosciuti poveri. Un colossale gesto di carità, insomma. Ma anche una fotografia in presa diretta del Paese, un’istantanea che può dirci molte cose su di noi. Per esempio, i donatori. Chi sono i donatori? Ricchi, ceto medio, casalinghe? «Tutti», risponde Andrea Giussani, presidente della Fondazione Banco alimentare, «senza distinzione di alcun tipo. Anche i poveri. Spesso, anzi, chi è più bisognoso è anche più cosciente e più disponibile». Anziani che vivono con una pensione tutt’altro che d’oro e che non rinunciano a dare con gratuità quello che possono. Come quella signora di Genova, incantata dalla grazia con cui dei ragazzi le propongono di fare la spesa per la Colletta, che svuota il borsellino con 20 euro e li spende tutti. O come quell’altra signora anziana, questa volta a Roma, che è invalida e si fa aiutare a fare la spesa da un volontario, cui indica via via i prodotti da mettere nel carrello, a un certo punto rimbrottandolo anche un po’ per la non eccelsa qualità dei biscotti che stava prendendo. Ecco due parole importanti: gratuità, e qualità. «Qualità dei prodotti », osserva Federico Bassi, responsabile nazionale della Colletta, «perché la gente ha capito che non è carità buttare lì una scatoletta di Kitekat ai poveri». I disoccupati sono, ahimé, tanti. Spesso sono gente umiliata, più dal senso di inutilità che dalla fatica di vivere senza soldi: nella Colletta c’è chi ha scoperto che compiere un atto di gratuità è possibile e fa ritrovare il senso della propria dignità. A un Carrefour dell’hinterland milanese uno, alla richiesta della volontaria, risponde malmostoso di non aver neanche gli occhi per piangere, perché ha perso il lavoro e da una vita non ne trova un altro, e che gli abiti che ha indosso sono della Caritas. Ma quella, con un sorriso, gli dice che bastano 70 centesimi per una scatola di fagioli discount, e se la compra sarà più felice sapendo di aver aiutato una persona che è nelle sue stesse condizioni: «Lei più di altri conosce la gioia di quando si riceve», gli dice. Finisce che l’uomo acquista due scatole di fagioli. Segniamoci altre parole chiave: sorriso, gioia, dignità.



E gli immigrati? A Verona la giovane di colore ha solo 10 euro e bastano a malapena per i suoi modesti acquisti; entra pregando Dio di farle trovare i soldi per i poveri, e si ricorda di avere una scorta segreta di 20 euro per la benzina in caso d’emergenza: li spende tutti per la Colletta. «E adesso come farai?». «Domani domanderò ancora a Dio per la benzina». Si ha notizia di numerosi carcerati che hanno raccolto prodotti nel loro penitenziario, alcuni hanno avuto il permesso di fare il volontario; addirittura di due mendicanti che si sono uniti ai volontari. Anche quelli con la puzza al naso, i borghesucci nell’anima, possono ricredersi. A uno Sma di Milano, una coppia di questo genere mostra fastidio e scetticismo: si dà il caso che tra i volontari ci sono persone che vengono regolarmente aiutate dai Banchi di solidarietà. Non hanno problema a renderlo noto, con calore e convinzione, ai due riottosi. Che si convincono e cambiano atteggiamento.

«Ecco, è proprio questo un risultato che ci affascina», afferma Giussani: «Persone dapprima esitanti, poi gioiose e responsabili, alcune in vera indigenza, mescolate a personaggi pubblici dello sport, dello spettacolo e della politica, tutti insieme, compiono un gesto che li rende ugualmente consapevoli della possibilità di stare di fronte al bisogno di altri, riscoprendo la propria umanità, al di là di ogni differenza di condizione». Lo spettacolo del popolo della Colletta fa intuire che sotto ci sia un giacimento di risorse umane, un’Atlantide sommersa, uno strato profondo di positività “strana” rispetto all’Italia “emersa” che di solito abbiamo davanti agli occhi. E che da sette anni i rapporti del Censis fotografano come in preda a «paure», in «regressione antropologica », «appiattita che stenta a ripartire», «fragile, isolata ed etero diretta», «messa alla prova della sopravvivenza », «sciapa e infelice» e infine «satura di capitale inagito», che tradotto in soldoni vuol dire piena di risorse umane che nessuno mette in moto. Addirittura siamo al punto che la reputazione dell’Italia è molto più alta all’estero che tra di noi: difettiamo pure di autostima. Ora, attraverso un fenomeno di vaste proporzioni come la Colletta è come se qualcosa del “capitale umano inagito” fosse raggiunto e messo in moto. Qualcosa di molto profondo, che sta nel cuore umano e nel cuore del popolo, che è la capacità di gratuità. Una capacità annichilita dai pesi materiali e morali della situazione, che tuttavia si può ridestare in un incontro, lasciandosi come “tirar fuori”, vale a dire “educare”. La prima molla è il richiamo dell’attenzione al bisogno. Precisamente come si legge ne Il senso della caritativa di Luigi Giussani, «quando si vedono altri che stanno peggio di noi, ci sentiamo spinti ad aiutarli in qualcosa di nostro». Ora, se c’è stato un tempo in cui ci si poteva illudere che il bisogno stesse da un’altra parte e non ci riguardasse, oggi non è più così. In soli sette anni la povertà assoluta è quasi triplicata, siamo passati da 2,4 milioni di persone nel 2007 a 6 milioni. Un italiano su dieci non è in grado di sostenere la spesa minima per alimentazione, casa e vestiti; uno su quattro arriva a fine mese mangiandosi i risparmi o facendo debiti. Ma anche senza statistiche la povertà ci è vicina, familiare: se non l’abbiamo in casa, è la povertà della porta accanto.

Lo sa bene anche il magrebino che arriva con un gruppo di connazionali. Solo lui parla italiano, afferra di che si tratta, spiega ai compagni e li esorta a fare la spesa per i loro vicini di casa più poveri. Ne è pienamente consapevole quell’anziano che suggerisce di fare la Colletta non alla fine ma all’inizio del mese, perché si è appena incassata la pensione e si può fare una spesa più ricca. Ma lo capiscono anche i ragazzini. Da quante scuole, oratori, classi di catechismo sono giunti ad aiutare, con gusto e bravura. Aiutare? «Letteralmente a fare la Colletta, dice un volontario navigato, perché l’hanno letteralmente portata avanti loro: io e una loro professoressa ci siamo limitati a controllare che non ci fossero problemi». La capacità di gratuità che emerge non è solo elemosina: è il nucleo della forza creativa delle persone e dei popoli, come dimostra la storia cristiana europea. È il contrario della rassegnazione. Dalla gratuità sono nate la difesa del valore della singola persona, la spinta all’innovazione, la capacità di rischio e di intrapresa. La Colletta è un fenomeno che scava fino a raggiungere e portare in superficie questo giacimento. Vip e poveri si mescolano senza distinzione: uomini politici anche di alto livello nazionale, indipendentemente dagli schieramenti di appartenenza, hanno fatto la spesa e si sono fermati alla Colletta sul serio, non per l’ennesima passerella. Personaggi dello spettacolo e dello sport, idem.

Ma anche il mondo delle aziende e della stessa grande distribuzione ha espresso un coinvolgimento nella Colletta apprezzabile in sé, ma molto interessante per il nesso, la continuità che mostra fra solidarietà e impresa. Ventidue marchi molto noti, dei più diversi settori (da Barilla a Unipol Assicurazioni, da Bloomberg dell’informazione finanziaria alla Alstom che fa treni, eccetera) hanno organizzato una cinquantina di «giornate di Colletta alimentare in azienda». Carrefour e Penny hanno chiesto ai dipendenti di unirsi ai volontari; Esselunga ha dato spazi per la Colletta all’interno dell’area di vendita. Poste italiane ha messo a disposizione decine di camion; idem l’Esercito, con militari-autisti. Ciò che muove il fondale dell’Atlantide Italia è l’incontro con la qualità umana dei 135mila volontari, perché appunto di incontro si tratta. I volontari anch’essi appartenenti alle più svariate realtà associative (quelli di CL non sono più del 30%), o semplicemente amici di amici, o anche gente che passa di lì per caso e si coinvolge in prima persona. «Siamo passati dalla piramide volontaristico-organizzativa al primato del fare la spesa come gesto compiuto in prima persona, e proposto a tutti, perché possibile a tutti», spiega Andrea Giussani. Così, accanto alla grande prova di dedizione e di organizzazione, ci sono numerose e commoventi testimonianze di volontari di lungo corso, attivissimi per anni, ora impossibilitati da una malattia grave a ripetere il gesto, che però hanno fatto la spesa, solo la spesa, con una coscienza più grande di prima, consapevoli che «la gratuità è, sì, fare senza tornaconto, ma soprattutto obbedire alla realtà». O, per esempio, testimonianze di capi équipe che buttano all’aria i piani organizzativi preparati fino al giorno prima per far fronte a situazioni impreviste. E poi, centinaia di incontri di presentazione, migliaia di post sui social network (68 milioni di visualizzazioni), e poi, e poi... «C’è un’Italia che ha bisogno di riscoprire chi è veramente, bombardata com’è da mille messaggi connotati da negatività», dice il Presidente della Fondazione: «Scoprire chi è, cioè scoprire che tutto ti è dato». Ecco, la testimonianza dei volontari è questa coscienza che tutto è dato, che si mostra nei loro volti gioiosi. Incontrandoli, accade che chi dona poi ringrazia. Giussani (Andrea) alza lo sguardo e sorride: «È la carica miracolosa di un gesto semplicissimo nelle motivazioni e nelle modalità, e grandioso nel significato». Giussani (monsignor Luigi) lo definì «il fondo comune degli italiani». Che cos’è il genio...