Don Pino De Bernardis a Prato Sopralacroce negli anni Settanta

L’istante e la vetta

I giessini in vacanza, il primo abbraccio e il ritardo di uno dei tanti treni presi per andare a trovarlo dalla Liguria… Su "Tracce" di ottobre, don Pino De Bernardis, 90 anni, racconta l’amicizia con don Giussani
Anna Leonardi

Per don Pino De Bernardis l’incontro con don Giussani avviene in un pomeriggio del luglio 1964, in uno stanzone con le pareti scrostate dal tempo e dalla salsedine, nella parrocchia di Corte, a Santa Margherita Ligure, dove duecento ragazzi milanesi si radunano periodicamente per il raggio “estivo”. Don Giussani, in realtà, in quello stanzone non c’è. Ma è ciò che don Pino vede nel dialogo tra quei ragazzi a spingerlo a trattenersi qualche minuto alla fine dell’incontro. Lui, all’epoca trentenne, è arrivato lì per curiosità, perché in riviera molti hanno notato la vivacità dei giessini. All’uscita punta una ragazza che aveva parlato: «Signorina, chi vi educa così?». «Don Giussani», risponde lei. È la prima volta che sente quel nome. Da lì, una seconda domanda, secca: «Dove abita?».

Il giorno seguente il sacerdote sale sul treno per Milano. In tasca, un biglietto con un indirizzo: via Martinengo 12. Arrivato a destinazione, citofona e don Giussani apre. «Giusto il tempo di presentarmi che mi abbracciò. Basta». È l’inizio di un legame che durerà una vita. Don Pino aveva conosciuto la fede in casa, tra le braccia di suo padre e di sua madre, e poi era maturata in seminario. Ma ora la compagnia di quel volto è la possibilità di approfondire le ragioni di ciò che lo aveva affascinato del cristianesimo.

Con don Giussani durante un pellegrinaggio a Savona nel 1983

L’intuizione della vocazione zampilla per la prima volta nel cuore di don Pino a 11 anni. Anche in quella occasione è la domanda «dove abiti?» a spalancargli il nuovo cammino. È la fine dell’estate, durante una gita dell’oratorio a Montallegro, a Genova. Mentre la funicolare sale al santuario, inizia a chiacchierare con il ragazzo di fianco. «Aveva qualche anno in più di me. Ci fu una simpatia immediata. Gli occhi gli bruciavano di vita. Ricordo benissimo di aver pensato: “Gesù a questo deve voler davvero bene”. Perché Gesù desidera solo - questo invece l’ho imparato nel tempo - che il gusto della vita si rinnovi in ogni uomo. Così gli ho chiesto dove abitasse. E lui: “Sto in seminario a Chiavari”. A casa la sera a tavola, davanti ai miei sette fratelli, dissi al papà e alla mamma: “Il 10 settembre inizia la scuola, ma io voglio andare in seminario”. Il papà entusiasta: “Bellissimo! Ma sei piccolo, finisci le medie, aspetta l’inizio del liceo”. Io irremovibile: “No, il 10”».

Il seminario è duro. Don Pino soffre il freddo, non solo per la temperatura delle camerate. «Volevano educarci a un’ascesi monastica. Ho pianto per tre anni. Ma ha vinto in me la memoria dei volti incontrati, soprattutto quella della mia famiglia. Se avevano accolto il mio desiderio, era perché anche loro credevano che il seminario poteva essere la mia strada. La strada per gustare di più la mia vita».

A Chiavari ci rimane 13 anni, fino all’ordinazione. E poi viene mandato come aiuto parroco a Portofino, «il Paradiso terrestre dopo il peccato originale», come gli piace descriverlo. Sono gli anni della “dolce vita” e quell’angolo del Tigullio è l’approdo esclusivo per gli yacht dei divi di Hollywood. «Ho conosciuto Liz Taylor, Richard Burton, Clark Gable, Rita Hayworth… Io avevo appena 24 anni e nei pomeriggi scendevo in piazzetta a prendere l’aperitivo insieme a loro. Ero affascinato dalla loro vivacità, avevano tutto, ma vedevo la loro umanità spegnersi perché non indirizzata alla vetta, ma all’isoletta dove stare tranquilli. Mi addolorava sapere che Cristo li stava abbracciando e loro non se ne accorgevano». Oltre alle star del cinema, don Pino diventa amico dei tanti giovani del posto che prestano servizio sulle barche. Ogni pomeriggio alle 17.30 lo vedono lasciare i tavolini del bar e le chiacchiere per correre in canonica. «Dove vai?», gli chiedono sempre. E lui, che va a dire Messa, resta vago: «Ho un appuntamento». Fino a quando qualcuno osa: «Ma con chi?». «Venite a vedere». Da quell’invito nasce così intorno a lui il primo gruppo di ragazzi che porterà don Pino, qualche anno dopo, a cercare don Giussani.

«Da quel nostro primo incontro a Milano, Giussani mi chiese di partecipare a tutto: riunioni, équipe, consigli nazionali. Ma in realtà capivo che quello che mi chiedeva era partecipare alla comunione con lui. Io desideravo solo “stare”, perché rimanendo in quel rapporto mi era sempre più chiaro il motivo per cui Dio mi aveva dato la vita e la vocazione. Lo sguardo di Giussani non mi tranquillizzava, anzi… ma capivo che stavo bene con me stesso, con gli altri, perché ero certo di una presenza che non mi perdeva d’occhio». Dal seminario, aveva mantenuto l’indicazione di fare a fine giornata l’esame di coscienza e di scrivere ogni volta che aveva mancato al suo proposito. «È stato con Giussani che ho capito che Gesù non fa bilanci, ma che nel Suo sguardo pieno di amore io ero compreso nella totalità dei miei talenti, delle mie deficienze e dei miei peccati. Così si è introdotto un altro modo di leggere lo spartito della vita. Non ero più bloccato da ciò che ero». Questo suo fiorire coincide, in breve tempo, con il fiorire della comunità di CL in Liguria: da Ventimiglia a La Spezia, e oltre, fino a Lucca, è il susseguirsi di amicizie, gesti e iniziative. «Tutto è nato senza che avessi l’intenzione di “fare” il movimento, mi interessava solo che si rigenerasse la stessa vita che era stata rigenerata in me. Trasferito a Chiavari, ho iniziato a insegnare al liceo classico, dove ho cercato di guardare i ragazzi, non dall’alto degli obiettivi educativi, ma esattamente come mi guardava Giussani, grato a Dio di avermi fatto suo amico». Tra i banchi di scuola, don Pino resterà per 40 anni, assumendo anche la carica di responsabile dell’Ufficio Scuola e Università della Diocesi.

Delle numerose visite di Giussani in Liguria, don Pino oggi trattiene quello sguardo sempre dominato da una positività: «Veniva solo per incontrarci. Anche davanti ai problemi, lui non procedeva mai per analisi. Mai moralismi. Mi colpiva perché non pretendeva dagli altri ciò che Dio chiedeva a lui. Non si imponeva. La sua presenza favoriva il dono totale di ognuno nel rapporto con Gesù, ma lasciava che il “come” lo fissassero le circostanze, la vita. Infatti qui il movimento è cresciuto dove alcuni hanno detto di “sì” per sé». Pensa all’esperienza di Prato Sopralacroce, un piccolo paese dell’entroterra che il Vescovo gli affida nel 1967 e dove molti giovani del movimento iniziano una caritativa di doposcuola e portano nuovo impulso alla vita in parrocchia, proponendo il gesto della Scuola di comunità.

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Uno degli ultimi incontri con Giussani avviene durante il Consiglio Nazionale di CL a Milano. Il treno da Chiavari fa più di un’ora di ritardo. Don Pino entra nella sala riunioni rosso in volto. «Tenevamo entrambi alla puntualità. Io con lui ero oltremodo scrupoloso. La stima che avevo mi incuteva timore, non per quello che avrebbe potuto dirmi, ma perché mi dispiaceva deluderlo». E Giussani sembra cogliere ciò che agita il suo animo. «Fermò tutti e mi disse: “Don Pino, guarda che Gesù non segue il tuo orologio. Lui segue ed è innamorato del tuo cuore”. Quello che per me era un’indecorosa ora di ritardo, per lui era occasione di andare al fondo di ciò che mi stava capitando». Quel dialogo riverbera ciò che don Pino ha visto fare a Giussani per tutta la vita: «La genialità del santo non sta nell’impegno, quello riguarda le conseguenze, ma nello sguardo pieno di vita, di una intelligenza della vita per cui da un particolare arriva al tutto, al significato. E a questo entusiasmo, cioè “avere dentro Dio”, come lo intendevano i greci, non si può resistere». Anche ora che è quasi arrivato a 90 anni, il tempo che passa, pur indebolendo i ricordi, non sembra far altro che rinnovare quel primo grande incontro. «Ciò che conta non è l’età, ma l’istante. Giussani fumava il sigaro o ammirava la cima del Piz Boè con la stessa intensità. Ai suoi occhi niente era banale. Anch’io, grazie a lui, posso vivere e amare questo “ora”».