Il canto insieme durante la caritativa con gli anziani a Ravenna

Ravenna. «Dare tutto si può»

Due caritative nella città romagnola. Protagonisti, alcuni adulti del movimento che periodicamente vanno a prendersi cura degli anziani nelle case di riposo. «Qui possiamo fare esperienza della misericordia che va oltre il limite e la sofferenza»
Paola Bergamini

Domenica pomeriggio. Mentre canta, Paolo rimane colpito da Amalia (i nomi degli ospiti sono di fantasia, ndr) che seduta di fronte a lui, ha lo sguardo perso. Gli altri anziani a loro modo cercano di unirsi ai canti che lui e gli altri amici della caritativa stanno facendo. Ma lei quel giorno sembra assente. Anche se ha un “debole” per questa anziana ospite, Paolo non si decide a muoversi dalla sua postazione, finché suor Emanuela, con la mano gli indica di alzarsi e di andare da lei. «Il suo gesto, che non ammetteva repliche, mi ha aiutato a fare una cosa che desideravo, ma non riuscivo a fare. Sono stato tutto il giorno con Amalia ed ero davvero contento. Prima mi “nascondevo” dietro la chitarra, ma da quel giorno sono capace di gesti di una tenerezza con queste persone che non è nella mia indole. Ogni volta che accade questa cosa mi stupisce e mi fa venire ancora più voglia di tornare».

Da due anni, Paolo, ingegnere, insieme a sette adulti fanno compagnia le anziane della Casa della carità piccolo gregge della Fraternità Dives in Misericordia a San Pietro in Trento, vicino a Ravenna. Un gesto semplice: una domenica al mese vanno a trovare le ospiti, se il tempo lo permette le portano in giardino, e poi si canta tutti insieme. «Ma il vero incontro per noi è stato con le suore», racconta Luca, di professione educatore. «Le abbiamo conosciute quasi per caso attraverso la Colletta perché questa opera è uno dei destinatari dei pacchi del Banco Alimentare. Da lì la decisione di andare in caritativa da loro. Oltre al fatto che il luogo è molto bello e curato, ci ha colpito come le suore stanno con gli ospiti: sono attente che l’anziano allettato non si senta solo o più banalmente si procurano i gomitoli di lana per l’ospite che lavora all’uncinetto. Non gli scappa nulla anche nel rapporto con noi, come è successo quella domenica. Io desidero avere il loro sguardo sui ragazzi che io seguo in comunità. Senza pretese».

Nella casa di risposo Santa Teresa, a Ravenna città, la caritativa è iniziata circa quindici anni fa. All’epoca le suore accudivano oltre agli anziani anche bambini disabili. Oggi suoi due piani della struttura sono ospitati 80 anziani e la terza domenica del mese un gruppetto di adulti va nelle stanze a prendere gli ospiti, li portano in salone per la messa e poi canti romagnoli. Mario, commercialista, ha iniziato questa caritativa perché vedeva contente le persone che ci andavano. Ma ogni volta si scontra con la solitudine, la sofferenza degli ospiti. È un pugno allo stomaco vederli, ad esempio, piangere mentre ti raccontano di come erano prima. «Questo su di me ha mosso in modo prepotente la domanda sul significato della vita. D’altro canto vedere come gli altri amici vivono questa esigenza con una disponibilità cordiale, mi fa venire ancora più desiderio di tornare in questo luogo».

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Tra gli ospiti, c’è anche un sacerdote, loro amico, molto compromesso fisicamente. Una domenica, a metà celebrazione senza accorgersi ricomincia daccapo, quando la cosa sta ricapitando per la seconda volta, Giovanni si avvicina e sottovoce lo interrompe e lo aiuta a riprendere da dove si era fermato. «Mi ha colpito come umilmente lui ha accettato la correzione ed è andato avanti fino alla fine. Lo faceva perché ci teneva tantissimo a celebrare per noi, i suoi amici. Stava dando tutto, ci metteva il cuore. Io desidero che per me avvenga la stessa cosa: nel mio fare dare il mio cuore». «In questo luogo», aggiunge Mario «si fa esperienza di una misericordia che va oltre il limite e la sofferenza. E ciò che a noi sembra puro martirio non rende impossibile all’altro riconoscere dove mettere il cuore».