Che cos'è il cristianesimo?

Pagina uno
Luigi Giussani

Appunti da una conversazione di Luigi Giussani con un gruppo di studenti universitari.
Chiesa Valmalenco,
31 agosto 1978




Il tema dell’assemblea è la situazione del movimento, la vita del movimento.



Don Giussani È stato dato un titolo generico, perché qualsiasi
punto possa essere preso; ma, da qualunque punto partissimo, dobbiamo arrivare
a un “certo” punto.

Intervento In questi ultimi mesi mi sono accorto di una cosa molto importante; improvvisamente ho capito che non conoscevo ancora che cos’è il movimento, ma ciò, invece di essere qualcosa di brutto, è stato molto attraente: si è aperto davanti a me uno spazio di conoscenza nuova di me e di profondità di vita, di gusto, che ancora non conoscevo. In altri termini, il dire che non conoscevo ancora, che non conosco ancora il movimento, vuol dire che scopro in me la possibilità di una profondità di vita che ancora non conosco. E a questa sono richiamato perché la vedo vivere in altri.

L’aspetto più importante di quello che sto vivendo è la tensione a imparare dagli altri cosicché si riveli con più profondità che il cristianesimo è la possibilità che mi è data di essere uomo. Ho capito che questo è il cuore del cristianesimo: il cuore del cristianesimo e il cuore del movimento coincidono, e il cristianesimo e il movimento sono la possibilità per me di essere uomo.

Don Giussani Scusate, sono stati fatti due nessi che dobbiamo tenere presenti, e non dobbiamo uscire da questa carreggiata, altrimenti perderemmo tempo. Ognuno di noi resti libero di intervenire come reazione all’esperienza che ha fatto finora, specialmente quella di quest’anno; non voglio impedire questa spontaneità, però voglio anticipare che il punto a cui dobbiamo arrivare è compreso e veicolato dentro l’alveo delle due sponde, dei due nessi fatti. Lui ha fatto il nesso tra movimento e cristianesimo e il nesso tra cristianesimo e umanità, umanità propria. Se noi usciamo da questi due riferimenti o da queste “sinonimie”, incominciamo ad “andar per rane”, oppure a raccontar fatti, a raccontare reazioni che - scusate - lasciano il tempo che trovano.

Anzi, quasi quasi si potrebbe cambiare argomento. Non potremmo cambiare argomento? Giudicate voi: cambiamo argomento! Perché è per tutti chiaro che il movimento è una modalità discutibilissima cui ognuno aderisce per un’esperienza o una speranza di arricchimento, ma è una modalità contingente; anche l’incontro con essa è stato casuale, per tutti. È una modalità contingente per introdursi in un modo più maturo e gustoso dentro il fatto cristiano. Altrimenti il movimento cosa sarebbe? Il valore del movimento è la sua funzione pedagogica al fatto cristiano. È questo che ci interessa.

Allora io proporrei di sospendere il tema che ho dato stamattina e domandarci a bruciapelo: che cos’è per noi il cristianesimo. Non potremmo cambiare così? Vale a dire, la facciamo diventare un’assemblea dottrinale, un’ora di dottrina, come a catechismo.

Cos’è per noi il cristianesimo? Se uno di noi ha dentro mezzo dito nel movimento, non come ricerca di una risposta a questa domanda, una risposta intelligente ed esistenzialmente provocante e praticamente carica di aiuto a questa domanda; se uno di noi avesse dentro l’unghia di un piede non come tentativo di risposta a questa domanda, sarebbe veramente un fesso, no?

Proviamo anche a domandarci quando mai ci siamo posti questa domanda, non come spontaneamente frullata in testa, ma con una volontà sistematica: “sistematica” non nel senso scolastico del termine, ma nel senso vitale del termine, perché la vita è un organismo, è un sistema.

Se lo sentite come un cambiamento un po’ presuntuoso e pesante, ritorniamo al tema di prima. Ma io propongo questo cambiamento perché non mi sembra proprio un cambiamento. Casomai ci aiuterà a saltare dei passaggi inutili, perché a noi non interessa il movimento, a noi interessa una risposta alla vita. E il cristianesimo, per noi, è questa risposta alla vita. ...
Forza, entriamo in medias res. Cos’è per noi il cristianesimo?

Intervento Sono stato richiamato a concepire questo luogo come il luogo della presenza del Signore, e quindi della mia verità, e non come luogo di gente che si ritrova perché la pensano tutti alla stessa maniera su un determinato punto. Ho capito che qui dentro, con questi volti, con queste persone, si gioca la mia salvezza.

Don Giussani E allora? Il tuo intervento - si vede che sono un po’ ottuso - che connessione immediata ha con la domanda che ci siamo posti?

Intervento La connessione immediata è che è qui dentro…

Don Giussani Ma che cosa è il cristianesimo?

Intervento È la verità della mia vita.

Don Giussani Tu hai usato anche un’altra parola: la parola “salvezza”. Soltanto, ragazzi, che dobbiamo sfondare queste parole! Non si capisce una parola, se non in quanto se ne percepisce lo “spessore” - come voi dite -, lo spessore esistenziale. Una parola è come un indice: è un segno, segno di una realtà. La parola è il segno di una realtà; un segno, proprio come c’è una freccia... Allora, non si capisce una parola, se non si percepisce la realtà che essa indica.

Per questo la domanda: “Che cos’è il cristianesimo?” è - a mio avviso - la domanda più urgente per noi che diciamo di esserci impegnati con esso. Ma lo è per tutto il mondo se - anche solo come ipotesi - il cristianesimo è inteso come la proposta della storia per una autenticità maggiore del cammino umano e per una sicurezza nei confronti del destino.

Allora della parola “salvezza”, come anche della parola “verità”, bisogna che si rompa l’involucro formale, perché qualsiasi cosa che l’uomo usi tende al formalismo. Qualsiasi rivoluzione e qualsiasi riforma - qualsiasi! - cadono immediatamente nel formalismo, nella standardizzazione, nello schematismo. C’è un peso di inerzia dentro l’impeto umano per cui la ricchezza di tale impeto viene indirizzata verso la morte, subito! È il peccato originale, si dice.

Il peccato originale è la parola che sembra la più evacuabile dal nostro linguaggio - e, infatti, tanta teologia del post-Concilio l’ha evacuata completamente -, perché non sembra, appunto, connettersi con nulla, sembra non coincidere con niente dell’esperienza, non avere aggancio a nessun fatto della vita; così tutto quanto il pensiero moderno la considera astratta e cerca di identificarla tutt’al più con un gap, con la distanza fra quello che l’uomo è e quello che deve essere. Perciò la parola “peccato originale” indicherebbe lo stadio inferiore di una evoluzione: il peccato originale sarebbe l’evoluzione che non è ancora avanti come dovrebbe. Mi spiego?

Invece no! Il peccato originale è un’idea essenziale all’antropologia cristiana, e indica questo: qualunque sforzo, qualunque iniziativa che l’uomo
prenda (intellettuale o pratica, di dottrina o affettiva), esistenzialmente scivola, tende a scivolare verso la morte, verso il formalismo, verso la clerotizzazione totale.

Forse qualcuno ricorda il paragone che facevo a scuola, quello del filo: se io cammino su un filo a terra, ce la faccio bene. Ma prendete lo stesso filo e tiratelo su di cento metri: non ce la faccio più. Quindi, la capacità teorica, strutturale, di fare così, io ce l’ho, ma se la condizione esistenziale muta, non sono più capace di farlo: se voi me lo tirate su di cento metri, ci vuole un equilibrista.

È un paragone. La dottrina cattolica, del peccato originale dice questo: che l’uomo strutturalmente dovrebbe essere capace di fare certe cose, ma esistenzialmente è in una condizione tale - la sua condizione esistenziale - che è incapace di perseguire gli ideali che gli nascono dentro, e l’impeto ideale si corrompe in un rotolare verso la morte, subito!

È impressionante quanto questa idea cristiana, se la si fa reagire sulla propria esistenza, si riveli comprensiva dell’esistenza stessa.

Se uno non ha ancora sorpreso in se stesso questa corruzione dei suoi ideali più nobili come impeto originale (l’affezione alla donna, l’attenzione
all’altro, la compassione per l’altro, la passione per la verità, il fascino che attira l’uomo verso la realtà e il cui volto immediato è la curiosità, il fascino travolgente della curiosità), se uno non ha ancora scoperto in se stesso la corruzione immediata che questi impeti nobili immediatamente assumono (è come se non stessero a galla, come se non riuscissero a stare all’altezza a cui l’impeto ci manda), non è ancora un uomo; è ancora un bambino.

Vi ricordate quante volte abbiamo fatto, anche negli Esercizi spirituali, un certo paragone sulle esperienze umane, chiedendoci quali siano le esperienze umane più impressionanti, più umane? E avevamo risposto: l’amore dell’uomo e della donna, l’amore fra genitori e figli, e la passione politica, nel senso platonico, più vasto del termine: la passione di un servizio efficace alla convivenza, perché essa sia più espressiva
dell’umano, più aiuto al cammino dell’uomo, di tutti gli uomini. Bene, ci siamo domandati quali più impetuose e più irrefrenabili sorgenti di egoismo, di strumentalizzazione dell’altro, vi siano di queste tre? Sarebbe disperazione, umanamente parlando, perché non c’è niente
da fare, e quanto più uno pretende di crearsi da sé un sistema per correggere tale destinazione amara di quello che di più buono sente nascere in sé, tanto più genera una situazione illusa, che aggrava - alla fine - i termini della questione.

La presunzione dell’uomo di salvarsi da sé è all’origine di tutti i dispotismi, di tutti i terrorismi, di tutte le intolleranze, dalla società alla vita familiare, dalla vita consociata ai rapporti di amicizia.

Al cristiano a cui è stato portato l’annuncio della salvezza, viene tolta la disperazione e rimane questa tristezza illuminata e piena di speranza.

Intervento Nel Barabba di P. Lagerkvist, quando Pietro lo incontra sotto i portici non lo riconosce e Barabba inizia a interrogare. E Pietro risponde: «È risorto da morte: lo aspettiamo». Barabba non ci crede e Pietro gli dice: «Poi alcuni dicono anche che è il Figlio di Dio. Potrebbe anche essere»... Barabba allora si scandalizza ancora di più. E poi Pietro dice: «Alcuni dicono che è il Figlio di Dio. Potrebbe anche essere, ma quello che importa a me è che lui ritorni qua come era prima». Mi ha colpito questo desiderio di Pietro: desiderava che l’esperienza che aveva fatto con quell’uomo fosse ancora attuale: era questo che gli interessava. Per me il fatto cristiano è un po’ simile a ciò: è un’esperienza, un gusto che ho provato, e voglio che questo vada avanti. È un’esperienza di umanità totale che si segue. E la sequela, come tu avevi detto una volta, è «paragone critico con la proposta fatta».

Don Giussani Quello che hai detto tu è introduttivamente giusto, ma solo introduttivamente giusto. Bisogna poi render conto, come diceva san Pietro: «Bisogna saper render conto della speranza che è in noi». Dobbiamo saper renderne conto. La domanda: “che cos’è il cristianesimo?” non è una domanda pro forma. È “la” questione. Perché uno dei pericoli più gravi è proprio questa assenza di ragioni. Non è un pericolo nel senso che minaccia la nostra adesione, perché la nostra adesione è a una realtà - per quanto poco vissuta - così ricca che, umanamente parlando, si capisce che ci si perderebbe lasciandola. Ma è un pericolo per la nostra capacità di presenza, perché ciò che sfida la società, nel tempo, non può essere che una ragione, non può essere
che una esperienza che veicoli, porti sul suo frontespizio le sue ragioni.
Ma l’ultima cosa che hai detto porta a questo che sto dicendo: la sequela è il paragone critico tra il fascio di esigenze originali che abbiamo in noi e la proposta che ci vien fatta. Soltanto che il paragone critico, tra il fascio di esigenze originali che sono in noi e la proposta che ci viene fatta, implica un lavoro per nulla affatto facile.

Per nulla affatto facile perché: primo, scoprire le esigenze originali che sono in noi non è affatto una cosa istintiva, immediata. Dovrebbe essere immediata, ma non lo è. Perché? Perché la nostra testa è tutta quanta “sfondata” dalla mentalità della società. La cultura dominante è la nostra mentalità, perciò la
nostra struttura originale è tutta quanta sedimentata, è sepolta sotto il sedimento dell’influsso della storia e della società. Bisogna perforare tutta questa sedimentazione, bisogna spaccarla! Ci vuole altro che la bomba atomica! Perché la povertà dello spirito è una cosa estremamente più dinamitarda di una bomba atomica.

E poi, secondo, occorre un’attenzione leale alla proposta che ci viene fatta. E anche questo è difficile, perché uno nella febbrile angoscia, o ansia, o desiderio di trovare risposta ai suoi sentimenti giusti, si crea lui immagini, formule, oppure aderisce a quello che più immediatamente gli piace (lo diceva già san Paolo).
Perciò è un lavoro. In questo senso, ragazzi, vien fuori che la sequela è il nome del lavoro complessivo che noi dobbiamo fare. La sequela è il termine comprensivo, è il termine totale del lavoro, o è il termine che indica il lavoro totale che dobbiamo fare.

Tanto è vero che la scoperta è solo nella sequela che si fa, e il gusto nuovo della vita è solo nella sequela che si fa. Altrimenti uno resta tranquillo, può restare soltanto contento dei suoi pareri. Ma l’essere impegolato nei propri pareri è una cosa che è borghese, che dà - se volete - una soddisfazione borghese. La soddisfazione borghese è senza fiato; senza fiato, è come un’asma: il gusto borghese della vita è un’asma.

Intervento Volevo dire che per me il cristianesimo è il modo, che ho imparato,
di appassionarsi a tutto, anche a ciò che è più banale,
e di cogliere il significato di tutto senza essere schiavo di nulla (delle idee
che mi faccio, delle opinioni che mi faccio o delle parzialità che vivo).
Ascoltando quello che dicevi, capivo che la sequela è il modo per fare
questo.

Don Giussani Tu hai rilevato con questo tuo intervento una conseguenza: questo è un
corollario di quello che è il cristianesimo. Può anche essere un
criterio diagnostico, un criterio euristico.



Intervento
Mi accorgo adesso, sentendo la domanda che hai fatto, che effettivamente è tutt’altro
che formale, e la risposta ad essa mi mette in difficoltà.

Io farei questo paragone. Se tu mi chiedi che cos’è la vita, avrei
la stessa difficoltà immediatamente, e ti risponderei: mah, è quello
che sono, che va avanti.

Ora, per me che cosa è il cristianesimo? Io non riesco a pensare a me
stesso al di fuori del fatto cristiano. Il cristianesimo è il fatto che
veramente Uno mi ha preso, si è reso presente alla mia vita, per cui la
mia vita ha potuto incominciare ad essere vita, può essere vita.

Ora, questa Presenza alla mia esistenza, per cui io non vivo più in termini
di solitudine, e quindi ultimamente in termini di morte, ha anche un’altra
grossa connotazione: che questa stessa Presenza si costituisce come giudizio
dentro la mia vita. Io non so se riesco a rendere secondo la valenza esistenziale
la parola verità detta prima, però il desiderio più grande
della mia umanità è quello di riscoprire, riconoscere quello che è il
vero, qual è la direzione che la mia esistenza ha preso, il ciò per
cui vale la pena che io viva, che mi agiti.

Ora, questa Persona, che si è resa presente alla mia vita, è giudizio
sulla mia esistenza, è la fonte del ciò...

Don Giussani Senti, il tuo intervento ancora indica una possibile conseguenza
di quel che è il cristianesimo. Il cristianesimo è una cosa che
in te ha provocato questo e che, avendo provocato questo fenomeno, è diventato
un giudizio sulla tua vita. Ma questa è una conseguenza. Noi stiamo cercando
che cosa “è” il cristianesimo.



Intervento
Pensando a questi ultimi mesi vorrei dire, appunto, che cosa è l’esperienza
cristiana. Direi che è il modo di non impedire alla vita...

Don Giussani No, scusa, forse, allora è equivoca la domanda. Noi ci chiediamo
che cosa è il cristianesimo! Per cui, badate che dobbiamo trovare una
risposta che, anche se io fossi ateo, varrebbe anche per me. Mi capite? Non la
riconoscerei, ma dovrebbe valere anche per me. Mi spiego?

Che cosa è (è!) il cristianesimo.



Intervento
Riconoscere la presenza Sua dentro la vita, dentro le cose, dentro
i fatti che accadono: riconoscere la presenza di un Altro.

Don Giussani Allora il cristianesimo è un fenomeno eminentemente soggettivo.
Soggettivo, vale a dire, sei tu che riconosci una presenza. Come quella volta
che don Franzoni è andato a Busto Arsizio a fare un dibattito sul divorzio
e una donnetta lo ha contestato. Lui ha svolto prima il tema “Chi è il
cristiano” (il cristiano è quello che vuole la giustizia fra i poveri),
poi “Chi è il marxista” (è quello che vuole la giustizia
fra i poveri) e ha concluso che oggi il cristiano è il marxista. Una vecchietta
ha alzato la mano e gli ha detto: «Ma allora che differenza c’è?».
E Franzoni, un po’ impacciato: «Beh, il cristiano vede Cristo nel
povero, mentre il marxista no». A quel punto un nostro amico ha alzato
la mano e ha detto: «Ma allora il cristiano è un visionario!».

Guardate, per favore, che non c’è polemica in me; tutte le vostre
risposte sono giustissime - intendiamoci -, ma è per andare più in
fondo alla questione. Nei termini detti dal nostro amico, il cristianesimo sarebbe
un fatto soggettivo, cioè il percepire una presenza reale tra noi. Non
mi spiego?



Intervento
Io risponderei così: il cristianesimo è il fatto oggettivo
e vivo della Chiesa, che è diventato ragionevole, significativo e carico
di promessa di vita per me in incontri storici che sono il movimento. È la
proposta della Chiesa così come è giunta fino a noi: nei suoi gesti,
nella sua vita, nella sua verità, che ha acquistato evidenza alla mia
umanità dentro degli incontri, perché se io non avessi incontrato
delle persone, quella realtà oggettiva non sarebbe stata per me, non sarebbe
stata significativa per me e non sarebbe stata carica di speranza per me.



Intervento
A me è quasi impossibile dire che cos’è il cristianesimo,
se non essendone coinvolto. La consapevolezza di quello che è il cristianesimo
non riesco a distinguerla dalla sequela. Questo mi fa dire che la mia intelligenza
riesce a piegarsi a qualcosa che non ha l’evidenza della sua misura, ma è come
il primo criterio da cui partire. L’essenza del cristianesimo è riconoscere
che Dio è un fatto storico, cioè che il significato, la totalità che
io desidero, che ciascuno di noi desidera è un fatto storico.



Intervento
Ma questa è la fede.



Don Giussani Certo, questa è la fede, sono d’accordo con lui. Mentre
dobbiamo rispondere alla domanda: «Che cos’è il cristianesimo?».
Sono d’accordissimo: è solo nella sequela che si capisce cos’è il
cristianesimo. Ma - appunto - la domanda che ci siamo posti è proprio
un test di come seguiamo il movimento. Mi capite? Il nesso è stato questo!

La difficoltà che abbiamo - evidente - di rispondere a questa domanda,
indica che longa enim tibi restat via: c’è un bel tratto ancora
da fare nel cammino dentro il movimento. Perché se il movimento è lo
strumento per aderire, per entrare dentro il cristianesimo... L’abbiamo
detto: il movimento è lo strumento per entrare dentro il cristianesimo,
perché ci interessa quello, non ci interessa il movimento.

Allora, se il movimento è questo strumento per entrare nel cristianesimo,
la domanda: «Che cos’è il cristianesimo?», che farebbe
ridere, che lascia un po’ storditi in principio, perché sembrerebbe
una cosa ovvia - una cosa ovvia, e invece non è affatto ovvia, come stiamo
vedendo -, è essenziale. Vuol dire che la vita del movimento ha da essere
vissuta con una intelligenza e con una fedeltà molto più grandi
ancora. Camminiamo, perciò!



Intervento
Volevo partire dalla domanda fatta prima: quando uno si inizia a domandare
che cos’è il cristianesimo per lui ? Io me lo sono domandato quando
ho incontrato una persona che, a un certo punto della mia vita, mi ha sfidato
in questo modo, mi ha proposto un’ipotesi per l’esistenza, mi ha
detto che Cristo poteva essere una risposta totale alla vita. Io a ‘sta
roba qui sono rimasto... (anche se la Chiesa e le cose che diceva non mi sembravano
proprio le risposte alla vita). Andando con lui e con chi insieme a lui viveva
questa esperienza, tentava di verificare questa ipotesi - aderendo a questa compagnia,
cercando di capire come allora Cristo era dentro quell’esperienza di persone
che vivevano in nome di Cristo, cercando di verificare l’ipotesi che Cristo è la
risposta a tutta la vita - ho iniziato a capire che cosa è il cristianesimo.
Perché questo è il cristianesimo. Cioè, a un compagno o
a una persona che incontro in Università, se parliamo di una cosa di questo
tipo, io dico: «Senti, io ho sperimentato una roba: che a un certo punto
della mia vita uno mi ha detto: “Guarda che l’ipotesi che ti può rendere
felice nella vita può essere che Cristo è la tua risposta”».



Don Giussani Questo indica la modalità con cui uno arriva al cristianesimo!

Scusate, non bisogna passare da una risposta a un’altra senza critica,
senza una consapevolezza critica. Io ho lasciato sospeso l’intervento di
prima sulla Chiesa. E coscientemente ho lasciato sospesa la risposta: la riprendiamo
poi.

Quanto è stato appena detto è una documentazione di quello che
giustamente è stato detto prima: che è nella sequela che si capisce, è attraverso
l’incontro.

Se si avesse fatto sul serio la Scuola di comunità di quest’anno
- Tracce d’esperienza cristiana (ma dovrete leggerlo sempre, fino a quando
lo saprete a memoria), che è una documentazione in questo senso -, capireste
meglio questo punto.



Intervento
Per me il cristianesimo è dato dagli uomini che riconoscono
che…



Don Giussani ... cioè, il cristianesimo sono i credenti: è ancora
soggettivistico. Comunque, l’oggettività sarebbe solo sociologica
- mi spiego? - e statistica. Sarebbe solo sociologica e statistica: il cristianesimo
sono i credenti.



Intervento
Per me il cristianesimo è il fatto di Gesù Cristo che è venuto
su questa terra, e io questo lo vedo in voi; e lo vedo e lo riconosco dal fatto
che la mia vita sta cambiando, sta cambiando non solo inter nos, umanamente,
ma sta cambiando anche nelle scelte.



Don Giussani D’accordo, queste sono le conseguenze. Tu dici: il cristianesimo è la
persona di Gesù Cristo venuta sulla terra, che io vedo in voi, e questo
mi cambia. È così? Lasciamo sospesa anche questa risposta.



Intervento
La prima riflessione che mi viene in mente di fronte a una domanda
così, che è drammatica, è che è tutt’altro
che scontata.



Don Giussani È drammatico il farla. È drammatico il farla questa
domanda! Perché - come tale - sarebbe semplice, come chiedersi cos’è questa
o quella cosa. Le domande sono, in sé, semplici: è drammatico porle. È drammatico
il porla questa domanda, non la domanda in sé. Capite? Perché è come
data per scontata.

Ragazzi, il problema del movimento è che al 100% (salvo qualche eccezione
dello 0,1%) ciò di cui il movimento è fatto è dato per scontato.
Allora in tutti i rapporti e nessi, in tutti gli oggetti propri delle azioni
che il movimento provoca o che si compiono nel movimento, il vero oggetto del
movimento sfugge: è dato per scontato. Perciò tutte le azioni vengono
percepite, ricevute e compiute, sfasate; e il minor male che questo porta è che
occorrono dieci anni invece di un giorno per ottenere un certo risultato.



Intervento
La prima risposta che mi viene da dire è che il cristianesimo è un
fatto che mi sta di fronte, cioè dopo duemila anni quell’Uomo che è morto
e risorto, che ha il potere di assimilarmi a Lui nel Battesimo, e quindi mi salva
e mi libera, è un fatto altro da me, però è un fatto che
mi riguarda totalmente. E vorrei dire che sento la drammaticità nel rispondere
a questa cosa perché non è affatto scontato ciò che da un
anno io ti sento dire: che questo fatto o incombe umanamente, oppure è una
cosa astratta e teorica.



Don Giussani
Sviluppo di conseguenze, conseguenze della risposta.



Intervento
Secondo me, il cristianesimo è un modo diverso di vivere le
cose del mondo.



Don Giussani
Un’etica.



Intervento
: No, questo modo diverso...



Don Giussani
... un modo diverso di vivere, vuol dire un comportamento diverso.



Intervento
Come risultato, sì.



Don Giussani
Ecco, appunto!



Intervento
Per me, il cristianesimo è un cammino verso la realtà delle
cose.



Don Giussani
Un cammino verso la realtà delle cose...



Intervento
: ... verso la realtà e verso la verità delle cose, e
questo è il valore della mia vita.



Don Giussani
Un metodo, è un metodo per accostare il reale.



Intervento
E per farmelo conoscere.



Don Giussani
È un metodo per accostare e conoscere e usare il reale.



Intervento
E per vivere.



Don Giussani
Una sapienza, come c’è la sapienza buddhista, come
c’è la sapienza...



Intervento
No, non è solo una sapienza: è qualcosa che è adeguato
a quello che sono io.



Don Giussani
Una sapienza adeguata alla tua misura.



Intervento
C’è un aspetto per cui le definizioni date finora mi
paiono insufficienti, perché resta ancora da vedere cosa sono io. Il cristianesimo
mi pare che sia una presenza, e una presenza vuol dire presenza d’altro
che non sono solo io col mio desiderio e con la mia umanità che si compie,
ma è la presenza della condizione per cui avviene anche la mia umanità.
La mia umanità è tale non astrattamente, ma in questo rapporto
con questa presenza.



Don Giussani
La condizione, comunque una condizione per essere umani.



Intervento
O, meglio, la condizione che mi permette di riconoscere, di recuperare
la mia umanità. Ad esempio, l’incontro che ho fatto con il movimento
non è stato solo la risposta al mio desiderio di umanità: è stata
addirittura una sfida alla mia capacità di raccogliere il mio desiderio,
qualcosa che mi ha costretto a rompere la ristrettezza.



Don Giussani
Comunque, la categoria della risposta è quella di un’esperienza;
un’esperienza che, però, a differenza delle altre, è adeguata.



Intervento
C’è un aspetto per cui la parola esperienza mi sembra
sia insufficiente a definire la realtà del fatto, perché è un
mistero: è un’esperienza che si radica su qualcosa che non è un’esperienza
solo.



Intervento
Io penso che il cristianesimo sia l’avvenimento del Dio che
si è fatto un uomo, e questo uomo si è detto Dio e ha scelto...



Don Giussani
Basta, basta: ci siamo! Perché è solo quello il cristianesimo!
Il cristianesimo è questo: è un fatto! Un fatto. Come se io gli
do un pugno e gli rompo gli occhiali, è un fatto che gli ho rotto gli
occhiali, così è accaduto questo: un uomo che si è detto
Dio, o Dio che si è fatto uomo, per cui questo uomo dice: «Io sono
Dio».

La categoria essenziale di una risposta alla domanda: «Che cos’è il
cristianesimo?» è quella di un fatto: un fatto come esiste Mosca,
o un fatto come lui che è prete: è stato ordinato, è un
fatto.

È un fatto! Guardate - per favore - che non è una questione di gusto, di
chiarezza intellettuale o di mettere le cose al loro posto: è una condizione, è la
condizione fondamentale di ogni pensare cristiano e di ogni comportamento cristiano.
La categoria “fatto” diventa la categoria fondamentale per il cammino
cristiano.

Comunque, che cosa è il cristianesimo? È un uomo che si è detto
Dio, vale a dire, è un uomo che ha detto: «Io sono la salvezza della
tua vita. Io sono il significato della tua vita».

La parola “esperienza” e tutto il resto sono conseguenze di questo,
capite? Ma che cosa è il cristianesimo, è questo.

Avendo ricevuto la risposta che io credo esatta, io mi sono soffermato su questo
e non vorrei tornar più indietro, a meno che ci siano delle obiezioni,
delle domande.



Intervento
Questa è la fede elementare dei nostri padri, mio padre e mia
madre mi hanno insegnato questo innanzitutto, mentre noi vediamo e guardiamo,
sviluppiamo...



Don Giussani
Sì. Vale a dire, questo è il pericolo nostro e la
pateticità della nostra posizione (perché è proprio patetica):
che noi siamo capaci di costruire su questo - come tutte le nostre risposte,
capite? -, dando per scontato, come se avessimo presente, come se fossimo già coscienti
di ciò su cui costruiamo. Invece noi costruiamo lasciando alle spalle
la pietra d’angolo su cui costruire. Per questo i nostri pensieri sono
un po’ a sghimbescio e per questo l’impostazione della nostra azione è sempre
un po’ equivoca.

Io avevo lasciato in suspence la risposta sulla Chiesa, perché la categoria “Chiesa” appartiene
al fatto. Ma adesso ci ritorniamo, cercando di svolgere la risposta ci ritorniamo.

Comunque, la parola “Chiesa” indica un fatto. Che categoria è la
Chiesa? Con che categoria si deve indicare la Chiesa? È un fatto! È un
fatto storico di un insieme di gente che dice: «Noi siamo Cristo»,
cioè il corpo di Cristo. Per cui la Chiesa deve essere messa come “Nota
Bene” alla risposta: il cristianesimo è il fatto, l’avvenimento,
talmente avvenimento... un avvenimento succede in un certo posto, in un certo
momento del tempo - capite? -, è fatto di tempo e di spazio.



La risposta alla domanda: «Che cos’è il cristianesimo?» è un
pezzo di tempo e di spazio, questo pezzo di tempo e di spazio e questo essere,
nato da una ragazza in quel tal posto della Palestina, concepito in quello sperduto
paese della Palestina, nato in quell’altro paesino che era Betlemme. Il
cristianesimo è questo avvenimento! Soltanto che questo tempo e questo
spazio si prolungano. Il mio nome e cognome sono quelli di un essere nato in
quel tal posto e in quel tal tempo; soltanto che si prolunga, e dal 1922 è arrivato,
finora, al 1978. Capite?



Invece che dal ’22 al ’78, questo avvenimento si è ingrandito
per duemila anni, fino ad adesso ed è destinato ad arrivare fino alla
fine della storia. Come e quando non lo so: potrà allargarsi, diminuire,
ridursi a dodici persone (come immagina Solov’ev alla fine della storia,
con l’ultimo papa, Pietro II). Questo non importa, questo è mistero
di Dio. Però quell’avvenimento è un avvenimento che si prolunga,
come un boato che incomincia e ingrandisce, come un tuono che ingrandisce, che
invece di diminuire come fanno tutti i tuoni, diminuire e scomparire, è incominciato
e continua a crescere. Continua. Questo continuare si chiama Chiesa, mentre dal ’22
al ’78 si chiama vita umana, la mia vita d’uomo. Ecco, lì si
chiama Chiesa. La vita di Cristo. D’altronde, san Paolo usa addirittura
l’espressione “adempiersi della maturità di Cristo”:
la Chiesa realizza la maturità di Cristo, perciò è proprio
la vita di Cristo.

Ecco, è un avvenimento per cui un uomo ha detto: «Io sono Dio e
io proseguirò nella storia dentro la visibile realtà delle persone
che mi aderiranno e che saranno unite tra di loro»: la Chiesa, insomma.
Ma è un fatto! Uno ci può credere o non credere, ma è un
fatto!



Dall’Umanesimo in poi il cristianesimo è stato tentativamente ridotto
a sapienza (il modo migliore per vivere, la filosofia umana più eccellente),
fino ad adesso, oppure a una morale (il modo migliore per amare gli uomini, la
profezia dell’umano). È stato ridotto così, e sempre la ragione
tenterà di ridurlo così, perché altrimenti è dominata
da esso, mentre se riesce a ridurlo, il ridurlo è dominarlo: è la
ragione che lo giudica. Invece il cristianesimo è un fatto. Uno può arrabbiarsi
perché c’è, perché è accaduto; può arrabbiarsi,
può bestemmiare, può strapparsi la pelle dall’isterismo perché vorrebbe
non ci fosse, ma factum infectum fieri nequit: non si può far sì che
un fatto non sia fatto.

È un fatto che contiene un elemento di sfida per il futuro, perché il domani
non c’è ancora, e questo fatto, che è arrivato su da duemila
anni e in cui siamo implicati anche noi, dice: «Guardate, fra 34.000 anni
io ci sarò ancora, e fra 3.400.000 anni ci sarò ancora».



Ma è un fatto! Il cristianesimo è un fatto! Per questo - ragazzi
- la nostra fede, il nostro essere cristiani è innanzitutto un fatto che
non vi potete strappare più di dosso, con tutte le unghie che voi potete
cacciare, perché è il Battesimo che vi ha afferrati; è un
gesto che vi ha afferrati e vi ha portati dentro il fatto e non ne potete più uscire.

Io mi permetto insistere perché non esiste niente più capace di
dare alla nostra vita la forza della certezza, l’energia delle cose certe,
come questo. Semplifica tutto! Non dipende dallo stato d’animo, da quel
che hai sentito, da quel che non hai sentito, dal tuo parere, da quel che è lucido
o da quel che è oscuro in te. È un fatto, il cristianesimo, che
ha come contenuto questo: il volto del fatto, la forma del fatto è un
uomo che si dilata nella storia attraverso l’assimilazione a sé degli
uomini che lui si afferra, e il contenuto di questo è che questa è la
presenza della salvezza dell’uomo all’uomo, del significato della
storia. La presenza del significato della storia, dell’uomo nelle sue connessioni
totali. Perché la storia sono io nelle connessioni totali, secondo le
connessioni totali, la totalità delle mie connessioni; la storia è questo,
senza di me non ci sarebbe storia.

Allora si possono capire i due corollari più importanti di questa risposta,
i due corollari fondamentali. Il primo: se tu non ti imbatti in una persona o
in una realtà cristiana che ti proclama questo, se tu non ti imbatti in
un momento profetico (profetico: una persona o una realtà che ti proclami
questo; la profezia è il proclamare); se tu non ti imbatti in una persona
o in una realtà che ti proclama questo, per te è come se non esistesse.
Questo è il fenomeno dell’incontro.



Il fenomeno dell’incontro sta al nostro essere cristiani come la Pentecoste
sta al rapporto con Cristo che hanno avuto gli apostoli, perché se non
veniva la Pentecoste restavano fessi qualsiasi, con dentro questo grande ricordo
inutile e tragico. Perciò l’incontro è lo spirito di quell’uomo
o di questo fatto che si comunica a te; l’incontro è lo spirito
di quel fatto che si comunica a te. E lo spirito di quel fatto si comunica attraverso
una cosa banale: delle lingue di fuoco, un fuoco, un tuono, come la banalità effimera
di un uomo qualsiasi, di un gruppo qualsiasi.

Una volta sono andato a Brescia a parlare di “Comunione e Liberazione e
la Madonna” al Convegno Nazionale Mariano. Mentre arrivavo, don Maggioni
(che è uno dei pochi che dicono le cose seriamente) stava dicendo, in
un dibattito con un prete (aveva fatto la relazione biblica), che il delitto
nella Chiesa di oggi, l’inconveniente grosso nella Chiesa di oggi, è che
c’è una ecclesiasticità senza l’evento. L’incontro è quel
fatto che diventa evento per la vita. Perché - diceva - senza l’evento,
quel fatto è come se non ci fosse (come ho ripetuto io adesso).



Pensate che importanza vertiginosa assume la banalità di un incontro!
Pensate come è da adorare la presenza di cose così effimere come
i nomi, i volti di chi abbiamo incontrato o come i nostri gruppi, la nostra comunità!
Pensate che eterno, che valore eterno hanno queste “stupidaggini”.

L’incontro è il primo corollario: se è un fatto, questo fatto
diventa noto, innotescit, diventa noto a te attraverso un incontro. Questa è la
Pentecoste, vale a dire, il fatto diventa evento per te, nella tua vita: l’evento
storico diventa evento nella tua vita attraverso un incontro.



Secondo corollario: siccome il fatto cristiano è un uomo o una realtà,
una presenza umana (una presenza umana!) che pretende di essere il significato
della tua vita e della storia, della tua vita secondo la totalità dei
suoi rapporti (ricordatevi che la mia vita e il cosmo sono la stessa cosa, perché il
cosmo e la storia sono la mia vita nella totalità dei suoi rapporti, perciò sono
la mia vita vera); siccome il contenuto di questo fatto è la presenza
di un uomo, di una realtà umana che dice: “Io sono il significato
della storia, del cosmo, e quindi di te; sono il significato del tuo esistere
come dell’esistere di ogni cosa” - questo fatto è il destino
reso presente, è il destino che si è reso presenza, è la
presenza del destino, del destino mio, tuo, suo, di tutti -, allora chi lo riconosce
attraverso l’incontro... Senti, cos’è la cosa più importante
della tua vita? Il tuo destino. Cos’è la cosa più importante
della mia vita? Il mio destino. Se il tuo destino e il mio destino sono la stessa
cosa, viviamo una cosa sola. Questa è la comunione, è l’unità tra
gli uomini: quello che è impossibile, qui diventa così reale che
diventa la legge morale; l’unica legge morale è l’unità,
o la carità. Cosicché, nella comunione, quel fatto diventa il volto
nuovo dell’umano, della società e della storia.

Scusate, ho descritto il movimento. Il movimento è solo queste cose qui
(solo!).

Io non so se a Roma, se a Pescara, se a Bologna and Company abbiamo vissuto il
movimento con la coscienza di queste cose. Voglio dire soltanto che l’addentrarsi
nella coscienza di queste cose è il fascino e l’unico fascino dell’invito
che ci è stato fatto. Ed è anche l’unica forza di fronte
a chiunque, a qualunque cosa, anche se si rimanesse da soli.

«
Questa è la vittoria che vince il mondo: la fede», perché ciò che
vince il mondo è il significato del mondo.

Perciò la domanda che abbiamo sostituito a quella di stamattina non era
che una traslazione di termini, perché la risposta a: «Che cosa è il
cristianesimo?» è la risposta a: «Che cosa è il movimento?».
Veramente la domanda era: «Come va il movimento?», ma adesso - a
mio avviso - abbiamo i criteri per decifrare come va e possiamo continuare.

Non so se avete sentito il brano di Geremia dell’altro giorno, quello per
il martirio di san Giovanni Battista, quando il Signore diceva a Geremia: «Io
metterò la tua faccia come un muro di bronzo di fronte a loro. Essi ti
attaccheranno, ma non potranno prevalere». Il muro di bronzo, la faccia
muro di bronzo contro l’assalto di qualsiasi cosa, contro l’assalto
del diverso, cioè contro l’assalto di ciò che non è il
significato, perché il diverso da questo è ciò che non è, è menzogna: «Il
mondo è posto nella menzogna». Perché il mondo non sono le
belle stelle, la bella faccina della donna, i bambini che crescono... la questione è il
significato in base al quale l’uomo vive il rapporto con la donna, con
le stelle e con i bambini. Perché l’uomo è l’animale
che accosta tutto (compreso se stesso) dentro l’interpretazione di un significato.



Perciò ciò che non è questo, è la menzogna! Ciò che
ci fa “muro di bronzo” di fronte al diverso è la fede, vale
a dire il riconoscimento di questa Presenza che è diventata evento nella
nostra vita cosciente (e qui è iniziata la maturità) attraverso
un incontro e che vive solo nella mia vita in quanto è unita alla vostra,
cioè nella comunione. Nella mia vita in quanto unita alla vostra, non
perché mi metto insieme a voi una volta al giorno a dire le lodi o mi
trovo con voi 44 volte al giorno perché faccio 44 raduni; vale anche se
sto da solo per 6 mesi in America! Il rapporto con i soldi, il rapporto col tempo,
il rapporto col lavoro, il rapporto con la donna, il rapporto con gli estranei... è con
voi, è sentito, concepito, affrontato e vissuto nella coscienza della
mia appartenenza.



E c’entra con tutto quello che faccio. Perché uno va a lavorare?
Per guadagnarsi da mangiare, oppure - caso eccezionale - per la curiosità della
scienza o della tecnica. Perché uno si sposa? Si sposa perché...
così. E perché uno fa figli? Perché... perché...
così. E perché uno mangia? Per vivere. Benissimo, tutte queste
risposte debbono essere frantumate e sostituite o, meglio, un’altra cosa
deve nascere dentro lì: si chiama trasfigurazione, il fenomeno, in senso
cristiano.

Si fa tutto quello per edificare la testimonianza a Cristo nel mondo, cioè per
edificare l’unità, la comunione. O, come diceva il Salmo stamattina: «Amo
la casa dove dimori, il luogo dove abita la tua gloria». Per edificare
questo, e basta!

È attraverso quello che facciamo che costruiamo, perciò non è emarginato
o censurato niente. È per questo che si vive il concetto di trasfigurazione:
perché è investito da un altro “affare”, così che «chi
ha moglie sia come se non l’avesse, chi possiede come se non possedesse,
chi usa sia come non usasse» perché non è quello immediato
il volto vero delle cose. È come un altro mondo, infatti.

Per concludere - sia pur provvisoriamente -: è realmente come un’altra
umanità che uno sperimenta.



Allora il concetto di esperienza e tutto il resto che avete detto è giusto,
perché tutti gli interventi hanno detto qualcosa di giusto: è l’esperienza
di una umanità diversa, iniziale fin quando volete, ma la giustizia, ciò a
cui tutta l’umanità aspira, è questa umanità che incomincia
ad albeggiare in noi: la giustizia è la fine.

Questa non è un’altra cosa accanto al problema della giustizia sociale:
investe anche il problema della giustizia sociale e ne trasforma, o trasfigura,
i termini. Non emargina e non censura niente.

Allora, le nostre comunità come hanno vissuto il movimento quest’anno?