Karol Wojtyla

Verso il Meeting. Fissare quel che Cristo fissa

Il titolo dell'edizione della kermesse riminese di quest'anno è un verso di una poesia di Karol Wojtyla dedicata alla Veronica. Un invito a nominare le cose, che è un modo di sancire un nuovo inizio. Un giovane scrittore commenta la lirica del Papa santo
Fabrizio Sinisi

«Nella folla in cammino verso il luogo del Supplizio – / ti apristi un varco a un tratto o te l’aprivi dall’inizio? / E da quando? – dimmelo tu, Veronica. / Nacque il tuo nome da ciò che fissavi. / Così intenso il tuo desiderio di vedere, sorella, / così intenso il tuo desiderio di sentire che il tuo sguardo è arrivato, / così intenso il tuo desiderio di sapere che l’effige / è nel cuore».

L’edizione 2019 del Meeting di Rimini porta il titolo di un verso di poesia. È una particolarità che non si può trascurare, e che anzi colpisce – in un tempo di svilimento del linguaggio, di abbruttimento della parola, ripartire da un linguaggio che significa: è già l’indicazione di una via. Ripartire dalla riscoperta dei nomi, come questa poesia di Karol Wojtyla, che s’intitola appunto Il nome – scritta molto prima di diventare Papa – invita a fare. Tornare a nominare le cose, riscoprirne il nome, è un modo di sancire un nuovo inizio: è come nascere di nuovo. E cosa chiede il mondo d’oggi più di ogni cosa, se non il dono di poter rinascere?

Nella sua poesia Wojtyla ci racconta proprio come si scopre un nome. Ci spiega come funzionano i nomi. «A un tratto o dall’inizio?» chiede a Veronica – la donna che, secondo la tradizione, seguì la passione di Cristo e gli deterse il volto sporco di sangue e sudore con il suo panno di lino. In che tempo, le chiede – con quale tempo hai compiuto la tua opera? Le chiede insomma come ha riconosciuto Cristo, come e in che tempo ha vissuto la sua unione con Lui. Come ha saputo riconoscerlo, capire che lui era Lui. Ed ecco il primo passaggio della nascita del nome: il riconoscimento: «Nacque il tuo nome nello stesso istante in cui il cuore / divenne l’effige: effige di verità». Il nome di Cristo, il nome che Cristo ha per Veronica, nasce nel momento in cui il cuore legittima quella verità: l’attimo in cui il cuore riconosce e appartiene. Ecco da dove scaturisce il nome: dal cuore che s’attacca, dal cuore che s’identifica. Quando scatta questo innamoramento, il nome sboccia naturale, una novità inizia a muoversi. Un nome è sempre anche un modo per legare a sé, per poter ritornare a qualcosa, per iniziare una storia. E quando il cuore si aggancia a qualcosa, inizia col nominarlo: comincia una storia, la storia di un amore e di un riconoscimento interminabile. Il nome nasce come nasce un amore: da un desiderio di appartenenza, dal desiderio di una storia, di una convivenza, di un evento che non resti isolato ma continui a ripetersi. «Il desiderio di vedere» è il desiderio di un irriducibile legarsi. Quello che tu guardi parla di te più di quanto possa farlo tu stesso.

El Greco, La Veronica con il Santo Volto, 1580 circa, Museo di Santa Cruz

Che cosa c’è in quello sguardo? In quella triangolazione da cui nasce il nome che segna per sempre la vita? Lo spiega René Girard nel libro Vedo Satana cadere come la folgore: «Ciò che Gesù ci invita a imitare è il suo desiderio, è lo slancio che lo dirige verso la meta che si è fissato: assomigliare il più possibile al Padre».
E continua: «L’invito a imitare il desiderio di Gesù può sembrare paradossale dal momento che Gesù non pretende di possedere un desiderio suo proprio, un desiderio “esclusivamente suo”. All’opposto di quel che facciamo noi, egli non ha la pretesa di “essere se stesso”, non si vanta di “non obbedire che al proprio desiderio”. Il suo unico scopo è divenire l’immagine perfetta di Dio». Il Cristo libera dall’illusione dell’indipendenza, del culto di sé: non vuole essere adorato, ma che venga ripreso il suo desiderio: il punto dove Lui guarda. Ma soprattutto quello che attira di Cristo, quello che di Lui colpisce, è innanzitutto la forma unica del Suo desiderio. Un desiderio che fa venire voglia di desiderare così.

Lo sguardo e il desiderio sono tutt’uno. Si fissa ciò che davvero conta, quello che è davvero importante: e fissando lo sguardo, immedesimandosi con la direzione del suo sguardo, ci si immedesima anche con il desiderio. E quello che c’è nel Suo sguardo altro è la realtà più vera. Il Dio che Cristo guarda in questo mondo è il punto del reale più vero, il cuore del reale stesso: un punto del reale che, guardato, riscatta l’essere e gli permette un inizio nuovo.

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Ha scritto di recente la filosofa Jane McGonigal: «La realtà non è creata per far crescere al massimo il nostro potenziale. La realtà non è stata disegnata per farci felici. (…) La realtà è rotta». Il verso di Wojtyla sfida continuamente questa diagnosi: non perché consoli o argomenti, ma perché continuamente aizza lo sguardo, invita a risollevare gli occhi. Per guardare il punto in cui Tu fissi: quel punto dove la vita ferve, e dove guardando ti accorgi d’essere guardato a tua volta: lì dove «ti apristi un varco dall’inizio».